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Valanga Lega

Una lega di operai e imprese

di GIOVANNI CERRUTTI

Stupirsi dello stupore.
E’ capitato l’altra notte a Roberto Maroni, quando in tv ha visto i titoli delle prime edizioni.
«Sembravano quelli del ’94 o del 2001, ma che la Lega faccia il pieno di voti al Nord è ancora una novità?».

E’capitato, ieri mattina, anche a Ilvo Diamanti, il sociologo vicentino che studia la Lega da quand’era bambina.
«Questa novità ha più di vent’anni -dice-, eppure dopo ogni votazione si fa finta che sia un inedito». Come la conquista dell’Emilia, dove aveva già un deputato e un senatore e adesso ne ha quattro più due.

I voti delle valli, delle città, delle periferie operaie.
Chi studia i flussi elettorali, come Diamanti, già vede la linea diretta che parte dalla Sinistra Arcobaleno, da falce e martello a Falce&Carroccio.
E pure questa non è una novità assoluta.
Dice niente la frase «La Lega nasce da una costola di sinistra»?.
Per averla detta, Massimo D’Alema da sinistra è ancora canzonato.

«Ma a Sesto San Giovanni -racconta Guido Salvini, neodeputato- se abbiamo triplicato i voti è perchè vengono da lì, dagli operai che hanno abbandonato la vecchia bandiera».

L’altra notte a Badoere, nel trevigiano, sotto il tendone della festa leghista, il parlamentare Giampaolo Dozzo si è fermato a un tavolo.
«Un imprenditore tessile con i suoi operai, tutti voti per noi».
Perchè, come ha spiegato e rispiegato Diamanti, qui gli interessi dell’impresa e dell’operaio coincidono.
«E quando va male -dice Dozzo- si comincia a ragionare, ad esempio sulle gabbie salariali, sul federalismo fiscale, sulle infrastrutture che mancano. La sola novità è la dimensione rilevante di questo voto operaio».

Non basta, non è tutto.
«E’ stato un voto trasversale», dice Giuliano Molossi, direttore della «Gazzetta di Parma».
Lì si è guadagnato il seggio da senatore Giovanni Torri, 47 anni, leghista da sempre.
«Sono andato dappertutto, da Santa Maria del Taro al Passo del Cerreto, ho fatto comizi dove non è mai andato nessuno, in osterie con due vecchietti, nelle bocciofile, nelle balere.
All’uscita ero sempre sicuro di aver convinto almeno la metà».
Aggiunge:
«Mai andato in tv, mai spedita una lettera, mai messa un’inserzione sui giornali».

Forse sarà come dice Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario della dc:
«Quelli della Lega sono rimasti gli unici a far politica nei bar».
O sarà che lontano da tv e dai giornali la Lega va ad intercettare disagio e bisogni.
Ancora Molossi:
«Qui hanno deciso di spostare la moschea nella zona industriale, e tra piccole imprese e operai hanno risposto con il voto. Era prevedibile il successo, ma non in queste proporzioni e così trasversale: l’hanno votata l’industriale con jet privato e la donna delle pulizie».

La sicurezza, dunque.
E il solito ritorno della solita «Questione Settentrionale», due parole pronunciate per la prima volta da Bettino Craxi il 5 giugno 1987, e quel giorno Umberto Bossi aveva debuttato come senatore.

Ma è sempre qui, la Questione Settentrionale, e può ad esempio chiamarsi Alitalia.
Chi viaggia da Malpensa a Fiumicino ha appena scoperto che l’aereo è un Atr43, quello con le eliche, tempo di volo 1 ora e 23 minuti, quasi il doppio di un Md80.
«E poi ci si domanda ancora perchè votano Lega?», dice Daniele Marantelli, unico deputato del Pd di Varese.

Anche Marantelli si stupisce dello stupore.
«Se fai la battaglia in difesa dello “scalone” delle pensioni è difficile che il giovane operaio ti voti». Come altri del Pd del Nord, portato Romano Prodi al governo, due anni fa aveva avvertito del pericolo. E Pierangelo Ferrari, rieletto a Brescia nel Pd, ricorda quel che dicevano:
«Dobbiamo cominciare a capire questi “rozzi con la fabbrichetta e le loro paure” e smetterla con il nostro atteggiamento di superiorità. Se falliamo non ci sarà appello».
E così è andata.

Un voto leghista davvero trasversale.
Antonio Marano, direttore di Rai2, varesino come Bossi e Maroni, è sicuro che i voti siano arrivati anche da sinistra.
«Da almeno la metà degli 800 che lavorano nel nuovo centro di produzione di Milano - dice -.
“Però noi non siamo di destra”, mi avvertivano.
E io a spiegare che nemmeno la Lega lo è, un leghista non chiederà mai di schierarsi a destra, basta stare qui e capire chi fa gli interessi del Nord che vuole correre e non vuol farsi inghiottire».

E poi c’è la Lega che ha preso i voti, quella che sta tra la sede milanese di via Bellerio e il villino di Gemonio, da dove Bossi dirige, litiga con la salute, e ora tratta ministri e nomine.
La Lega che ha governato a Roma più di 5 anni, che ha avuto il sindaco di Milano, che ha quelli di Novara, Varese, Verona, Treviso, le province del Nord, gli assessorati in Lombardia e Veneto.
La stessa che gioca pesante con le parole, evoca paure e fucili e non è mai riuscita ad organizzare nemmeno uno sciopero del canone Rai.
Ma «è una Lega che non fa più paura», come dice Diamanti.
Sempre di lotta, sempre più di governo.
(da La Stampa del 16 aprile 2008)


pubblicazione: 16/04/2008

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