L'auspicio per Piacenza 2006 di Ettore Gotti Tedeschi
Una nuova classe dirigente concreta e pragmatica di ETTORE GOTTI TEDESCHI
A Piacenza, come altrove, a fine anno è uso far auspici per l'anno successivo per ciò che si sente che manca. Normalmente chi ha il privilegio di farli pubblicamente rischia di trovare quasi sempre qualche ragione per sottostimare le difficoltà, non riconoscere i successi già ottenuti, e proporre obiettivi futuri irraggiungibili. Questo atteggiamento, sbagliato di per sé, è però giustificato spesso (anche se non sempre) da alcuni vizi capitali della classe dirigente: l'autoprotezione a volte privilegiata verso il resto; una dose adeguata di retorica; la difficoltà di capacità progettuale concreta sul lungo termine.
Solo quali considerazioni generali, le specificità di Piacenza che esporrò prudentemente quali domande, mi paiono le seguenti: - Piacenza ha avuto negli ultimi vent'anni un cosiddetto "imprenditore di riferimento", dominante, radicato ed impegnato nel territorio con specifica responsabilità e con possibilità di generare un indotto industriale con vantaggi competitivi sostenibili? (Anche se a mio ricordo ha avuto una straordinaria e carismatica personalità quale l'ing. Aonzo della Cementirossi) - Piacenza ha mai avuto una istituzione finanziaria propulsiva con capacità operativa sull'intero territorio nazionale?.(Anche se, per fortuna, ha ancora una eccellente banca popolare che sta ben valorizzando la sua indipendenza generando indubbio valore per il territorio.) - Piacenza ha mai avuto grandi leader politici di statura nazionale che abbiano privilegiato-beneficiato lo sviluppo della sua provincia?
Questi fatti (oltre a quelli "naturali") sono spesso i cosiddetti fattori di successo dello sviluppo economico e sociale di un territorio (comuni alle aree più prosperose, per intenderci), senza questi è più difficile immaginare e pianificare futuri eccitanti.
Ma vediamo, negli ultimi 15 anni molte cose sono cambiate in Italia, alcune con le quali dobbiamo fare i conti: si è liberalizzato il mercato e privatizzato in gran parte l'economia pubblica; le imprese operanti nella competizione globale hanno iniziato i processi di concentrazione orientati a competere (soprattutto) nei costi. Sostenere le realtà economiche locali diviene più prioritario. Anche il sistema bancario si è ristrutturato, è diventato molto più efficiente, si è concentrato con fusioni creando grandi complessi bancari che si sono, all'inizio, concentrati maggiormente sui grandi clienti riducendo la loro radicalizzazione sul territorio (mantenendola magari nella raccolta e meno nell'impiego) e l'attenzione alle piccole-medie imprese. La banca locale, per eccellenza, trova uno spazio e un valore competitivo superiore.
Tutti questi fenomeni evidentemente accentuando i problemi locali come non mai, propongono in modo forte l'esigenza di competizione all'interno delle località, delle piccole aree geografiche, delle provincie.
Anche la politica sembra esser cambiata. Fino a 15 anni fa i partiti politici erano fortemente ideologizzati, avevano un elettorato ben identificato da soddisfare e difendere. Oggi non più, oggi un leader politico, soprattutto locale, deve esser più pragmatico sul problema economico e sapersi confrontare maggiormente con altri soggetti politici e non, su fatti concreti, non più ideologici, verso i problemi locali, ciò perché il processo di globalizzazione citato enfatizza soprattutto i problemi locali "in periferia". Qui deve conquistare il consenso ogni giorno, con maggior responsabilità, delega, autonomia; deve farlo con idee, proposte e decisioni che non sono più accettate ciecamente dall'elettorato fedele e tantomeno dagli alleati tradizionali, ma devono competere sul mercato delle proposte politiche attuabili in accordo con la classe economica e le sue responsabilità.
C'è un "pericolo" incombente che concorre a render più difficile l'individuazione del responsabile del piano strategico del territorio. C'è (un po' ovunque) un più forte dualismo tra una visione "economicistica" (convinta che il problema sia prevalentemente economico) che vorrebbe che fosse "il mercato", e meno la politica, a occuparsi del benessere dei cittadini e una visione "politicistica" che è convinta del contrario, cioè che la politica, rinnovata e meno ideologizzata, debba riprendere il ruolo perso verso il mercato. Ne consegue un certo comprensibile rischio di conflittualità tra "mercato e politica" nello sviluppo di progetti per la collettività.
Si direbbe che nella nostra città una nuova classe dirigente, concreta e pragmatica, più economicista che politicista, stia progressivamente prendendo posti di responsabilità in istituzioni importanti, con attitudine a far progetti anziche a scrivere libri bianchi o far convegni. Cerchiamo di facilitargli la vita, pur osservandola da vicino, ed evitare il conflitto mercato-politica sopra descritto. Se c'è qualcuno che va lasciato fare in progetti economici è l'imprenditore privato. Se c'è qualcuno che non deve creare ostacoli burocratici ai progetti imprenditoriali destinati a creare ricchezza alla società, è il politico, che deve apprendere i vantaggi del mercato e della competizione. Se c'è qualcuno che deve assicurare la corretta distribuzione della ricchezza, con progetti concreti e competitivi, è il politico, ma prima deve permettere all'imprenditore di crearla. Anche i politici devono competere fra loro, con idee concrete piuttosto che con compromessi.
L'auspicio per il 2006 è che Piacenza sia un esempio di questa collaborazione responsabile per il bene pubblico, ma vorrei concludere che se l'intera classe dirigente è convinta che il suo compito è dirigere per servire, bene, se non sa o vuole servire con spirito di servizio, invece, non servirà a nulla.
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