La proposta di Parenti.
Province all'ultima fermata, la Camera di Commercio di Piacenza ha un piano per salvare almeno se stessa: è il progetto - inedito, e destinato a far discutere - di una unione delle Camere di commercio di Piacenza, Parma, Lodi e Cremona.
L'ipotesi è stata presentata, ieri pomeriggio, a Bologna, al vertice di Unioncamere. Se, dal punto di vista politico e amministrativo, è il caos, come potrebbe confermare la possibile spaccatura di voto in consiglio provinciale, previsto per il 28 settembre, al provvedimento deciso dal presidente della provincia, Massimo Trespidi, la Camera di Commercio piacentina (52 dipendenti e una capacità di investire il 40 per cento delle risorse sul territorio, una delle realtà più virtuose tra le 105 Camere italiane) non aspetta che le taglino la testa così, da un giorno all'altro, terminato il riordino delle province. I l suo presidente, Giuseppe Parenti, è già passato al contrattacco come è emerge da quanto ci ha detto in questa intervista.
E' reale la preoccupazione secondo la quale, tolta di mezzo la provincia di Piacenza, si perderebbe anche la Camera di commercio? «Il danno sarebbe devastante, a favore, invece, degli altri territori. L'emorragia sarebbe continua, fino a impoverire definitivamente il territorio piacentino. La nostra economia dovrà rivolgersi altrove. Per questo, siamo sempre stati convinti che le Province andassero abolite tutte. Tutte, ripeto. In questo modo, le funzioni svolte dalla Provincia sarebbero passate, in parte, al Comune capoluogo, esattamente come accade negli altri Stati europei, e, in parte, anche ad altre istituzioni già presenti sul territorio».
A Bologna, Unioncamere prova a governare il processo, senza subirlo. Quale il ruolo di Piacenza? «Ogni Camera di Commercio, intendo Parma, Piacenza, Lodi e Cremona, si specializzerà in un settore. Per Piacenza, si potrebbe pensare a un ruolo nell'agroindustria fino ai settori della meccanica avanzata. L'obiettivo è quello di raggiungere una maggiore efficienza con un minor costo, senza aspettare che decida il Governo per noi. Ci sono Camere di commercio che non riescono a rimanere in vita, ormai».
La realtà piacentina non sembra essere tra quelle poco virtuose, ma lasciamo che a parlare siano i numeri. Quanto investe la Camera di commercio sul nostro territorio? «Piacenza è una realtà virtuosa; riversiamo sul territorio il 40 per cento delle nostre risorse, un dato per nulla sottovalutabile e che trova pochi riscontri simili nelle altre province». E il restante 60 per cento? «Costi di gestione. Per questo, pensiamo che l'unione possa fare la forza, diminuendo i costi della macchina operativa. Ovviamente con il contributo di una buona dose di tecnologia, strada obbligata».
Costi di gestione troppo alti. Eppure la Camera di commercio di Piacenza sembra piuttosto snella, con solo 52 dipendenti. «Abbiamo già fatto una razionalizzazione interna. Teoricamente, l'organico potrebbe contare fino a 80-100 persone. Cerchiamo di dare il massimo al territorio, con minori risorse. I nostri servizi saranno sempre più telematizzati, le imprese ci chiedono rapidità e risposte automatiche».
C'è chi dice che l'ipotesi di chiedere delle "deroghe" all'accorpamento (battezzata "linea Trespidi") non sia percorribile, e si perda solo tempo. «Io dico che bisogna tentare tutte le strade. Tuttavia, credo che, dopo il tentativo già fatto a luglio, la proposta sia poco credibile».
Sarebbe stato meglio un referendum per passare in Lombardia? «Sì, ma credo che, ormai, non ci siano più i tempi, mi sembra che siamo già abbastanza in ritardo. Con Cremona o Lodi avremmo avuto più affinità, e anche maggior peso decisionale. Il nostro effetto "trainante" si sarebbe fatto sentire nei tavoli. In Emilia, invece, siamo i più piccoli».
Ultima ipotesi. Una mezza regione da Piacenza a Modena. «Può funzionare, ma solo se si struttura attentamente il percorso, evitando scivoloni. Ogni Provincia dovrebbe fortemente specializzarsi, adottando il modello che stiamo cercando di portare avanti per le Camere di commercio. In caso contrario, una maxi provincia non ha alcun senso. Finiremmo semplicemente sotto il dominio di Parma o Modena».
L'ipotesi al momento più accreditata sembra essere quella di un'unione tra Piacenza, Parma, e, forse, Reggio Emilia. Vantaggi e svantaggi? «Nell'ottica delle esigenze dell'internazionalizzazione, unirsi può significare anche essere più forti. Tuttavia, dobbiamo cercare i nostri spazi, il rischio di essere "inglobati" è altissimo. Dobbiamo recuperare margine di trattativa».
È tempo, quindi, di aprire una negoziazione con un obiettivo chiaro, serio, unico. «Sarebbe fortemente auspicabile. Sì, ci aspettiamo una contromossa tempestiva».
ELISA MALACALZA Libertà del 11/09/2012
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