di Massimo Franco
Sarà anche malato, ma Umberto Bossi si conferma politicamente meno appannato di tanti suoi alleati. La scelta di andarsene a Strasburgo, lasciando il Parlamento italiano dopo 17 anni e il ministero delle Riforme istituzionali dopo tre, appare l' opposto di un atto di resa per motivi di salute. Semmai, è l' estremo tentativo di salvare quel che resta dell' «asse del Nord»; e di piegare An e l' Udc a una lealtà che il voto europeo ha messo in mora. Bossi schiera la Lega sulla prima linea del centrodestra: non per affossarlo, ma per arginare un logoramento che sfiora l' irreversibilità. E' un piano disperato. Ma il capo del partito padano vuole avvertire Fini, Follini e lo stesso Berlusconi che le sorti della maggioranza dipendono da lui. Il testo finale del Consiglio federale di ieri è esplicito. «Il segretario della Lega Nord-Padania ha deciso di mantenere fede alla parola data e di non far cadere il governo». Non ritirerà i ministri, che rimarranno «anche di fronte a un palese tradimento degli alleati» e a «giorni difficili sulle pensioni». E annuncia che vuole avere le mani libere per occuparsi del movimento. Forse, almeno nella prima fase Bossi dovrà pensare più alla convalescenza che ai lumbard. Il suo problema immediato sarà di capire se e fino a che punto può tornare a un impegno totale e logorante. Ma la decisione di optare per il seggio a Strasburgo è una dimostrazione di consapevolezza. Il leader leghista sapeva di non poter fare all' infinito il «ministro invisibile»: il suo status indeboliva sia il governo, sia il partito. In fondo, la malattia e la lunga assenza avvolta nel mistero, erano diventate un alibi per l' indecisione della coalizione. Ora, alibi non ne ha più nessuno: neanche il premier. La conseguenza delle dimissioni non è il caos, ma un' appendice di stabilità vigilata. La Lega lascia capire che Bossi ha bloccato l' uscita dal governo di Maroni e Castelli; e che ha designato Roberto Calderoli a succedergli. Insomma, liberandosi le mani, ha messo gli altri davanti alle proprie responsabilità. Traspaiono l' irritazione per il sacrificio di Tremonti, uomo-cerniera fra berlusconismo e leghismo; e un' amarezza condivisa con l' ex ministro dell' Economia. A sentire An e Udc, la scelta del capo padano nasce da ragioni personali, non politiche; ma la spiegazione convince poco. Siniscalco dopo Tremonti, e forse Calderoli dopo Bossi, confermano che il governo Berlusconi sta diventando la copia sbiadita di se stesso: col rischio, appena passata l' estate, di diventare irriconoscibile e dissolversi.
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