Il parere di Pierluigi Magnaschi
«Per andare avanti bisogna uscire dai luoghi comuni, dalle tautologie, dalle parole pass-partout che aizzano gli animi o placano le ansie, senza contribuire a risolvere alcun problema».
Parola di Pierluigi Magnaschi, presidente dell'agenzia Ansa, ospite al 60esimo compleanno di Assindustria Piacenza e protagonista di un apprezzato intervento nel corso del quale ha attentamente focalizzato la situazione dell'industria e dell'economia italiana.
«Bisogna fare come i surfisti - ha risposto Magnaschi - cercando di utilizzare a proprio beneficio l'onda di piena dell'innovazione che non si riesce ad arrestare. Ma per fare i surfisti sulle onde imprevedibili e colossali del mondo della competizione globale, le singole imprese servono ma non bastano -ha aggiunto - bisogna fare sistema. Un sistema-paese, almeno. E ciò, non attraverso una vociferante programmazione nazionale che ha fatto il suo tempo dopo aver seminato guasti e prodotto dissipazione di risorse, ma compiendo una vera e propria rivoluzione culturale che ponga l'impresa al centro dello sviluppo e della società».
Secondo il direttore dell'Ansa l'auspicato aiuto alle imprese non può basarsi sugli «incentivi a pioggia che piacciono tanto ai politici e ai demagoghi di ogni risma, o con i cosiddetti interventi mirati (che troppo spesso, purtroppo, sono mirati solo agli amici, o agli amici degli amici), ma creando un spazio sociale, giuridico e politico favorevole all'imprenditoria. Il che significa - ha proseguito - un sistema scolastico efficiente e finalizzato ai bisogni del sistema produttivo nazionale e una foresta legislativa lautamente disboscata per impedire che un imprenditore, quando ogni mattina inizia la sua attività, abbia già compiuto cinque o sei reati senza essersene accorto».
Per il direttore dell'Ansa «si deve diffondere nel paese una cultura aziendalistica, cioè la cultura dei risultati» e si «deve promuovere la meritocrazia». Un discorso concretizzato con vari esempi: «Se l'industria nucleare italiana non fosse stata sacrificata dai partiti italiani nel famoso referendum che l'ha abolita, oggi potremmo esportare in Cina (chiavi in mano, come si dice) centrali nucleari del valore di migliaia di milioni di euro. Lo potremmo fare molto agevolmente perchè proprio in Italia, a Roma, nel piccolo laboratorio di via Panisperna, con Fermi, Amaldi, Pontecorvo, è nata la fisica nucleare moderna e, di conseguenza, la classe dei nostri esperti nell' utilizzazione pacifica dell'atomo era di primissimo ordine». Ma non solo. «Se, caso unico al mondo, non avessimo previsto, addirittura per legge, il divieto (solo recentemente abolito) di costruzione di nuove autostrade - ha detto Magnaschi - oggi potremo disporre di robuste grandi imprese di costruzione e di un ceto di progettisti (che avevamo a livello di eccellenza) che sarebbero in grado di competere sul mercato cinese nella realizzazione dei grandi lavori pubblici di cui questo immenso paese si sta dotando. Se, anzichè cincischiare con amministrazioni comunali voraci e, grazie al loro diritto di veto, interessate solo al loro “particulare” di razzia e se anzichè demonizzare il trasporto ad alta velocità su rotaia, avessimo costruito la rete ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli e Torino-Trieste con il relativo armamento (anzichè puntare, per necessità, su quel geniale ma anche incollocabile altrove Tgv dei poveri che era il Pendolino) oggi saremmo in grado, al pari dei francesi, di proporre alla Cina che ha un grande bisogno di linee ferroviarie con queste caratteristiche, le linee ad alta velocità sulle quali invece, per l'ignavia dei pubblici poteri, non ci siamo impratichiti.».
«Puntualità, compatibilità, meritocrazia e visione del futuro sono ingredienti che l'impresa da tempo ha fatti propri - ha aggiunto Magnaschi - ma che la pubblica amministrazione deve ancora in gran parte adottare. Per capire come l'Italia si sia attardata nel conoscere le necessità del paese - ha concluso - basti constatare che il nostro è un paese come il nostro possiede una lingua bellissima ma che, putroppo, per motivi che non sono realisticamente modificabili, non è spendibile all'estero. Chi entrerà sul mercato del lavoro o della ricerca fra 20 anni sarà considerato tecnicamente analfabeta se non saprà usare perfettamente anche la lingua inglese».
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