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San Lino, papa



Sant'Antonino fa il pieno.

In archivio l'edizione 2005 della festa patronale

Tra sacro e profano, odore d'incenso e profumo di porchetta, premiazioni e polemiche, sudore e affari d'oro. Sant'Antonino 2005 va in archivio con l'ennesimo assalto di pubblico, notevolmente diluito dalla nuova disposizione delle bancarelle (un anello che, partendo dalla basilica, proseguiva lungo via Giordani, il Pubblico Passeggio e via Scalabrini), che ha fatto parecchio discutere, ma che alla fine ha riscosso il consenso corale dei visitatori e di parte degli ambulanti.
In questo modo, come sottolinea monsignor Domenico Ponzini in un intervento che pubblichiamo a margine, la basilica di Sant'Antonino torna ad essere il cuore (e non una propaggine marginale) della “sua” festa patronale. Il che non è poco per una ricorrenza che stava sempre più banalmente connotandosi come un “mega-mercatone” anzichè per il valore storico, religioso e tradizionale che esprime.
Tutti questi sentimenti erano ben presenti ieri mattina nella splendida chiesa romanica dedicata al martire. La solennità del rito, la sua tramandata aderenza alla comunità locale (espressa dal dono dei ceri propiziatori) e, non ultima, l'attribuzione di un premio - l'Antonino d'Oro - che va a scovare, tra religiosi e laici, i piacentini che si “spendono” per gli altri, così come fece (con il sacrificio della vita) il patrono della città.
Quest'anno è toccato a padre Sisto Caccia, un prete minuto nel fisico, dall'aplomb mite e che ispira fiducia, ma anche un autentico “vulcano” per come ha saputo promuovere la figura (e la causa di canonizzazione) di monsignor Giovanni Battista Scalabrini, fondatore dell'omonima congregazione missionaria di cui padre Sisto fa parte fin da quando era un adolescente.
«Non credo di aver fatto nulla di eccezionale» si schernisce l'interessato (superiore della “casa madre” degli scalabriniani, in via Torta), subito dopo aver ricevuto il prestigioso riconoscimento dal vescovo Luciano Monari, che ne sottolinea l'amore per il fondatore e per tutta la chiesa piacentina e si dice «fiero degli scalabriniani e di ciò che sono e che rappresentano». Non nasconde l'emozione, padre Sisto, dopo l'interminabile applauso che saluta la sua “incoronazione”. La chiesa è gremita. Al termine della cerimonia c'è tempo per un'occhiata alla mostra di Carlo Mistraletti - un colorito collage fotografico che racconta l'Antonino d'Oro, ma non solo quello - e al paziente lavoro dei “madonnari”.
Intorno già impazza la fiera con le sue cinquecento bancarelle. Ci vogliono due ore buone per percorrerla tutta, anche di più se si indulge ad una (o più) delle tentazioni gastronomiche che le bancarelle offrono.
E già, perchè se il mercato di Forte dei Marmi è ricercato per le “griffe” e per l'abbigliamento, la fiera di Sant'Antonino si connota soprattutto per i suoi profumi (e sapori). Un “serpentone” gastronomico che spazia dalla Toscana alla Sicilia, dal Piemonte alla Sardegna.
«Per noi è una fortuna quando la fiera non si svolge di sabato o domenica - spiega Luciano Chiarello, pistoiese, che si autodefinisce il “Giotto della Porchetta” e che (prima con i genitori ed ora da solo) frequenta da quasi quarant'anni Sant'Antonino - perchè nei fine settimana molti piacentini se ne vanno, quest'anno infatti, dopo un'annata di crisi, siamo tornati a fare buoni affari».
Per chi ha problemi di peso - tra cannoli siciliani e olive di Cerignola, piadine romagnole e salame al barolo, torroni e zucchero filato, formaggi e granite -
le bancarelle di Sant'Antonino sono una tentazione quasi “criminale”.
Ma Sant'Antonino è anche il “tempio” degli imbonitori. Quelli che - con modi e parlantina da presentatori televisivi - riescono a soggiogare ignare casalinghe convincendole che la qualità della loro vita cambierà in modo sostanziale con il “taglia-frutta” Kuchen-Meister, la scopa telescopica, il “fiore-impazzito” che si trasforma in annaffiatoio, il liquido rinnova-fessure il “multi-mixer” e la forbice multi-usi. Quelli che fanno volare i piatti come dischi volanti e quelli che urlano le lodi di un “due pezzi” come se avesse tour court l'effetto di trasformare chi lo indossa in Sharon Stone.
Non manca il “filone” umoristico-calcistico, con le magliette spiritose (una su tutte “Versace - con il carattere della nota griffe italiana - n'altro litro”) ed i cappellini su cui si può far scrivere ciò che si vuole. Via Scalabrini non è solo la “strada della protesta” (parecchi ambulanti a fine giornata lamentano un registratore di cassa “piangente” rispetto ai colleghi delle altre strade), ma anche quella dei prodotti e servizi più strani: la gelatina multicolore a base di sali minerali in cui coltivare i fiori, la piastra a fusione per la cucina dietetica, la lettura erotica della mano.
Nel tardo pomeriggio il cielo concede una salutare “spruzzata rinfrescante” di pioggia e le bancarelle diventano sempre più affollate. Non c'è però il soffocante caos di quando tutto era compresso sul Pubblico Passeggio e (fatta eccezione per certi banchi un po' marginali della zona di piazza Sant'Antonino e via Scalabrini) non ci sono neppure ambulanti ”figli di un Dio minore” come avvenne nel 2004 con il parcheggio di via IV Novembre.
giorgio.lambri@liberta.it


pubblicazione: 05/07/2005
aggiornamento: 06/07/2005

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