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Rutelli: sono addolorato.

Intervista a Francesco Rutelli.

«Così noi aiutiamo il recupero di Berlusconi».
Dice «noi», Francesco Rutelli, ma pensa a lui, a Romano Prodi, al leader del centro-sinistra che lunedì ha affondato il colpo intestando al presidente della Margherita il fallimento della lista unitaria dell’Ulivo.

Rutelli scuote la testa, parla di «grave errore», del «rischio che la vicenda lasci segni indelebili».
E respinge l’accusa di essere il signornò dell’alleanza: «Non è vero», spiega portando le prove.
«Il 20 settembre Prodi concluse la prima riunione dell’Ulivo annunciando che toccava ai livelli regionali valutare dove fosse conveniente presentare la lista unitaria.
Così avevamo deciso, sapendo che nelle regioni ci sono situazioni e sistemi di voto diversi».

E’ «addolorato», Rutelli, non capisce il richiamo all’unità pronunciato dal Professore, «perché quando si parla di unità nel centro-sinistra si parla dell’unità politica ed elettorale di forze distinte, non di un partito unico. Quando a Milano i militanti hanno reclamato l’unità, per scongiurare gli errori del passato, in platea sventolavano le bandiere dei partiti, da Bertinotti a Mastella. Questa unità ci chiedono gli elettori».

Sarà, ma tra lei e Prodi sembra di esser tornati ai giorni del «bello guaglione».
«Stavolta è diverso. Nessuno rimane ferito da un appellativo, considero invece molto più serio e ingiusto additare la Margherita come un partito che non è impegnato nell’unità dell’Ulivo.
E’ un’incomprensione politica grave, e va superata, perché può provocare danni».

Invece si annuncia uno scontro durissimo.
C’è l’impressione che il Professore la consideri un traditore.

«Ho concorso all’individuazione convinta di Prodi come leader della coalizione, abbiamo portato il nostro partito a designarlo unanimemente come candidato premier. Come si può solo sospettare che la nostra storia sia fuori dal solco del percorso unitario?».

E se l’obiettivo fosse distruggere la Margherita?
«Ho letto di questi disegni sui giornali, ma non ci credo.
Siamo un partito di grandi potenzialità: nel 2001 abbiamo preso quasi 5 milioni e mezzo di voti, e tutti gli indicatori ci dicono che la freschezza progettuale della Margherita può intercettare consensi nuovi e diversi, specie quelli di frontiera. Che sono decisivi per vincere. Sarebbe un grande errore pensare di danneggiare questa forza politica che lavora nell’interesse dell’alleanza, e che ha tanti militanti giustamente orgogliosi».

Pensa che scaricarle la responsabilità del fallimento della lista unitaria sia un modo per indebolirla?
«Sono sereno al cospetto di queste costruzioni fantasiose.
Certo l’errore compiuto da Prodi rischia di lasciare il segno, ma mi sento rinfrancato dagli attestati di solidarietà che ho ricevuto.
La Margherita è una forza nata dall’unione di quattro partiti.
Per tre anni, dopo la difficilissima sfida del 2001, abbiamo davvero mangiato pane e cicoria insieme a Piero Fassino e ad altri leader, tenendo insieme e poi rilanciando una coalizione che avrebbe potuto implodere.
Invece di volta in volta, e tutti insieme, abbiamo ripreso a vincere, dalle prime amministrative fino alle suppletive per il Parlamento, pareggiando alle Europee dove si erano incassate due pesanti sconfitte consecutive.
Perciò è difficile presentare questa storia di fatica, e di disegno unitario, come la storia di chi punta a dividere».

Ma allora perché Prodi ha voluto drammatizzare una decisione che era stata già presa?
«Non capisco l’asprezza di certi toni ingenerosi e soprattutto non rispondenti al vero.
Tutti gli atti deliberativi sono stati approvati nella Margherita anche dai prodiani, e c’è stato un annuncio formale da parte di Prodi per far decidere nei territori le liste alle Regionali.
Si può cambiare posizione, ma non accusare altri che sono stati fedeli alle decisioni assunte.
Sappiamo bene che noi e i Ds avevamo tre strade possibili: la competizione, la federazione delle forze riformiste, la creazione di un partito unico.
Abbiamo scelto la strada di mezzo, sia per evitare una conflittualità interna che ci avrebbe danneggiati nello scontro con il centro-destra, sia perché nessuno ha più avanzato la proposta di dar vita a un partito unico».

D’Alema l’ha fatto.
«Erano interviste. Nessuno ha proposto deliberati nei Ds e nella Margherita.
I nostri partiti hanno invece approvato il varo della federazione, che si chiama così proprio perché è basata sull’integrazione tra partiti. Stiamo lavorando convintamente a un modello nuovo e di inedita applicazione, che non prevede però il superamento delle forze politiche.
E io, che sono sempre stato favorevole all’idea di un partito democratico, non vedo la prossima nascita di una forza unica.
Si tratta di un percorso lungo, legato a un ciclo storico.
L’unificazione di storie e culture diverse ha bisogno di tempo per realizzarsi».

Fassino spinge per realizzarlo nella prossima legislatura, «con chi ci sta».
«Ho parlato con il segretario dei Ds, che lealmente resta legato al disegno della federazione.
Lui sa che i processi politici si fanno insieme, e insieme andremo avanti. Eppoi... posso?».

Prego.
«Basta. E’ un anno e mezzo che parliamo di formule senza aver ancora avviato il progetto da mettere in campo. Che senso ha dividerci su temi di ingegneria politica? E’ un’operazione autolesionistica: agli elettori non interessa nulla. Nulla.
Invece dovremmo muoverci seguendo quattro punti cardinali: unire, convincere, vincere, governare.
L’unità è l’elemento fondante della coalizione.
Le nuove idee del programma sono lo strumento attraverso il quale convincere l’opinione pubblica, e saranno determinanti per il nostro successo elettorale.
Ma a questo obiettivo, un minuto dopo aver vinto le elezioni, dovremo far seguito non solo per reggere alla prova del potere, ma per guidare con forza e serenità questo Paese».

Non sembrate attrezzati a farlo, viste le prove che state fornendo.
«So che dobbiamo migliorare, e per questo facciamo fiducia al Prodi che unisce.
Dobbiamo indicare le priorità che vogliamo affrontare e trasmettere una visione appassionata del futuro dell’Italia. Come ha detto Walter Veltroni».

Veltroni, l’ombra lunga su Prodi...
«Per parte nostra il leader l’abbiamo scelto: Prodi è l’uomo chiamato a guidarci.
E il leader di un’alleanza ha il diritto di stimolare e se del caso di criticare, ma nel momento di decidere deve avere sempre la capacità di ascoltare, di rispettare e di condividere».
(Intervista di Francesco Verderami )


pubblicazione: 22/12/2004

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