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Rosy Bindi: "No alle riforme se servono solo al Cavaliere"

Intervista de La Stampa a Rosy Bindi

C’è una cosa, prima di tutto, che Rosy Bindi - neopresidente del Pd - tiene a chiarire: perché non vorrebbe che in tutto questo mare di parole circa il nuovo inizio, la ripartenza, il partito di alternativa piuttosto che di opposizione, ecco, in tutto questo sorgesse qualche equivoco.
Dice:
«Visto che il tema è come al solito sul tappeto, vorrei che Berlusconi avesse chiara qual è la nostra posizione: in materia di giustizia, se le proposte continuano a essere costruite esclusivamente sulle sue necessità, confermo che la disponibilità del Pd a discuterne non c’era prima e non c’è adesso.
Se ci riesce, quelle riforme se le faccia approvare dalla sua maggioranza: ma osservo che, nonostante le pressioni al limite del ricatto, comincia ad avere dei problemi anche lì».

Come passo d’avvio di un nuovo dialogo non è granché...

«E su cosa dovremmo dialogare, scusi?
Sulla ragionevole durata dei processi, della quale il premier si ricorda solo adesso perché gli è stato bocciato il lodo Alfano?
Con Berlusconi siamo alle solite: fallisce una strada e allora ne prova un’altra.
Ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso: sottrarsi ai processi che lo attendono».

Qualcuno aveva inteso che con il “nuovo corso” la posizione del Pd potesse modificarsi: aveva inteso male?

«Certamente. E prima di tutto non aveva inteso Bersani, che anche sabato al Palafiera è stato chiarissimo: noi siamo pronti da subito a impegnarci per la riforma della giustizia civile, che interessa davvero milioni di cittadini. Ma sulla giustizia penale non accettiamo una discussione che sia condizionata dalla posizione personale del presidente del Consiglio. E guardi che ce ne spiace».

Ve ne spiace?

«Certamente. Perché occorrerebbe davvero intervenire per rendere più rapido ed efficace il funzionamento della macchina giudiziaria».

Cambiano i segretari ma il tasso di antiberlusconismo del Pd sembra restare immutato: c’è chi ne sarà deluso, forse.

«Chi si dice deluso, dovrebbe ricordare come era cominciata questa legislatura: all’insegna della nostra massima disponibilità al confronto.
Se lo ricorda Veltroni?
Rispettoso in campagna elettorale e poi, a esecutivo insediato, aperture, disponibilità al dialogo, governo ombra...».

E poi?

«E poi è cominciata la stagione dei lodi, della propaganda, degli attacchi personali. Il solito Berlusconi, insomma.
Ed è vero che lì anche la nostra opposizione ha cambiato tono, fin quasi a entrare in concorrenza con Di Pietro, che forse se ne è addirittura avventaggiato».

E’ tempo quindi, dopo l’avvio di Veltroni e la segreteria di Franceschini, di una rifondazione? E’ questo, insomma, il mandato di Bersani?

«Nient’affatto.
La verità è che, al di là delle battute d’arresto e degli errori che tutti abbiamo fatto, io considero questi ultimi 15 anni - dall’Ulivo fino al Pd - come una storia unica.
E’ per questo, per intenderci, che così come ai tempi non mi piaceva la “nuova stagione” coniata da Veltroni, non mi pare il caso oggi di parlare di “rifondazione”.
Bersani non parte da zero, e noi non dobbiamo ricominciare tutto ogni volta da capo. Oggi possiamo andare avanti e fare delle cose anche in ragione degli errori che abbiamo alle spalle».

Bersani, appunto: che segretario sarà?

«Io lo considero, per molti versi, il continuatore di Prodi: come Romano, non ha bisogno di strillare per dimostrare il suo antiberlusconismo.
Ed ha uno stile e un messaggio fatto di semplicità che arriva a tutti.
In un periodo di risse, salotti tv e cadute di stile, si presenta come un uomo che vive la realtà comune alla gente normale.
Ed ha ragione a dire che Silvio Berlusconi lo si batte certo non cedendo su nulla: ma piuttosto che strillare soltanto, occorre avanzare al Paese proposte più forti di quelle del premier, mostrando il profilo di un partito già pronto per il governo».

Qualche strillo, in verità, si è sentito anche alla vostra Assemblea nazionale dell’altro giorno: quanto è rimasta colpita dal duro intervento di Franco Marini?

«Molto, se devo dire la verità. Il partito va rafforzato col concorso di tutti: e uno dei motivi del mio sostegno a Bersani, è stata la certezza che avrebbe lavorato alla costruzione di un partito inclusivo. Intorno alla sua linea politica, l’unità del Partito democratico la si troverà. E’ per questo che non nascondo che il discorso di Marini mi ha un po’ toccato anche sul piano personale».

Si è forse sentita offesa?

«Non è questo il punto. Il punto è che non si può dire che in questo partito la cultura popolare non sia rappresentata: io sono presidente, Letta è vicesegretario e Franceschini è capogruppo a Montecitorio. E noi a quale storia apparteniamo? Io non credo che la cultura popolare possa essere ristretta in una corrente, perché è ben più larga e ben più forte. E non riconoscerlo mi sembra ingeneroso».

Posso chiederle, in conclusione, come mai si è commossa tanto quando ha parlato all’Assemblea nazionale?

«Per l’applauso che mi è stato riservato anche da chi aveva sostenuto altre candidature alla segreteria del partito. E soprattutto perché, dopo 20 anni di vita spesa alla realizzazione di un progetto, l’elezione a Presidente del Pd mi è parsa un grande riconoscimento ad un percorso politico e ad un impegno personale e collettivo che da oggi riprende con entusiasmo immutato».

FEDERICO GEREMICCA
La Stampa del 9 novembre 2009


pubblicazione: 09/11/2009

Rosy Bindi, il nuovo che avanza 15479
Rosy Bindi, il nuovo che avanza

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