dal Corriere della Sera del 19/9/2004
Si avvicina il momento in cui Romano Prodi sarà di nuovo in Italia, candidato a pieno titolo del centrosinistra alla guida del futuro governo. Ma non c’è bisogno di attendere quel momento formale per interrogarsi sull’asprezza del cammino che attende l’ex presidente della Commissione. Sgombriamo subito il campo da un equivoco: il professor Prodi è a tutti gli effetti il candidato in corsa, non si conoscono alternative in grado di tagliare la sua strada prima del 2006 e non si vedono, al di là delle chiacchiere, complottatori nascosti nell’ombra. Per quanto è dato capire, Prodi è l’unico in grado, se vuole, di garantire protagonisti e comprimari del centrosinistra. Detto questo, si deve pur aprire il capitolo della politica, porsi la domanda: qual è o quale sarà la fisionomia del centrosinistra guidato da Prodi? Quale idea del Paese sarà proposta agli elettori? In che modo, concretamente, si eserciterà la leadership prodiana?
Sono domande legittime di fronte alla condizione nebbiosa in cui sembra nuotare lo schieramento che si oppone a Berlusconi. Del resto, è la stessa logica del sistema maggioritario a pretendere risposte chiare e Prodi, non a caso, è uno dei padri del maggioritario in Italia. I sondaggi degli ultimi giorni indicano un certo recupero del centrodestra e un maggiore affanno dell’Ulivo, in una contesa che resta aperta. Sull’ Unità era possibile leggere ieri i dati di una ricerca Swg in cui i due Poli risultavano alla pari nelle intenzioni di voto: entrambi al 46,5 per cento. Con la differenza che il 46,5 del centrosinistra ingloba un 6 per cento accreditato a Bertinotti e prefigura quindi il ruolo chiave di Rifondazione.
E’ in questa cornice di incertezza che il tema della leadership diventa decisivo, dal momento che può fare la differenza: cioè attirare i soliti dubbiosi, far impallidire l’avversario con la forza di un’idea, di un messaggio innovativo. Ebbene, finora nei passaggi cruciali del centrosinistra la voce di Romano Prodi si è sentita troppo poco. Forse il Professore immagina che i contrasti che dilaniano le liste dell’Ulivo siano poca cosa, o siano destinati a ricomporsi con il mastice dell’anti-berlusconismo. Potrebbe essere un calcolo un po’ ottimistico. Di solito il leader sa indicare senza indugi una direzione di marcia e individua una sintesi tra i diversi punti di vista.
Prendiamo il caso del referendum sulla fecondazione assistita che divide i partiti del centrosinistra negli ultimi giorni di raccolta delle firme. A differenza di altri, che si sono esposti attirandosi le polemiche (Giuliano Amato, Francesco Rutelli), di Prodi non si conosce un pensiero pubblico in materia. Così pure, sul terreno della politica estera e del terrorismo, temi cruciali per orientare la pubblica opinione, non si capisce quale sia la posizione del centrosinistra; né se esso ritenga la minaccia terroristica realmente incombente sul Paese oppure no. C’è stato un positivo momento di relativa coesione nazionale dopo il rapimento delle due volontarie: ma forse ci si poteva attendere da Prodi, su questo punto, un commento più approfondito, meno sbrigativo.
Infine, perché il candidato premier non ha detto nulla sulle riforme istituzionali, sullo scontro che ha attraversato l’opposizione in Parlamento, sull’ipotesi di un referendum confermativo? Forse si sottovaluta il conflitto tra Ds e Margherita e si attribuisce troppo peso al momento magico delle primarie. Che sono utili, come dice Massimo Cacciari, quando non diventano un mero plebiscito dove tutto è scontato. Quando si confrontano sul serio, come in America, uomini e programmi. Qui invece c’è già Romano Prodi e conviene che si metta in marcia al più presto, con una bandiera bene in vista e un programma chiaro per parlare al Paese.
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