di Carlo Merli
La nostra città ha bisogno di ridefinire un progetto complessivo e una strategia di sviluppo per i prossimi dieci-quindici anni. Per individuare i temi cruciali attorno ai quali costruire questo progetto, può essere utile quello che, nei testi di pianificazione, viene definito come "benchmarking", cioè il confronto con esempi virtuosi e pertinenti di altri territori. In questo senso, vorrei citare l'esperienza di Trento, città che, per dimensione (centodiecimila abitanti) e storia recente di declino industriale, è abbastanza vicina a Piacenza. L'amministrazione comunale ulivista di Trento, retta da un Sindaco relativamente giovane e molto concreto (altra analogia con la nostra realtà), ha varato un programma ambizioso di ridisegno del tessuto urbano cittadino, sfruttando la disponibilità di aree industriali dismesse attigue al centro storico. La progettazione degli interventi architettonici e urbanistici è stata affidata a tecnici di fama mondiale, come Renzo Piano, Mario Botta, Vittorio Gregotti e il catalano Joan Busquets, l'architetto che ha riprogettato quindici anni fa la città di Barcellona: questo naturalmente garantirà, oltre alla qualità estetica e funzionale degli interventi, anche un grande ritorno di immagine alla città. La realizzazione delle opere sarà coordinata da una società di sviluppo pubblico-privata, partecipata dal Comune di Trento, con l'obiettivo della creazione di nuovi contenitori per "il rilancio del turismo, della cultura e dell'economia terziaria ad alto valore aggiunto" (citazione da "L'Espresso" del 26 Dicembre 2004) nella città.
Rispetto a Trento, il nostro contesto cittadino si presta in modo ancor più favorevole ad una politica ambiziosa di riqualificazione urbana, per diversi motivi: - Piacenza dispone di un Piano Regolatore Generale (PRG), di recente adozione, i cui indirizzi strategici prevedono il recupero delle aree dismesse per l'insediamento di attività "ad alto valore aggiunto", come università, centri di ricerca e centri direzionali. - Piacenza ha una straordinaria dotazione di aree dismesse o riconvertibili: le aree militari, che si estendono per oltre 90 ettari e sono collocate in punti nevralgici del territorio urbano (pensiamo alle Caserme Cantore e Niccolai, all'Ospedale Militare, all'Arsenale, al Laboratorio Pontieri); l'area attualmente occupata dal Consorzio Agrario in Via Colombo, le aree adiacenti alla ferrovia nella zona nord della città. La disponibilità effettiva di queste aree si concretizzerà, in vari casi, sul medio-lungo periodo, ma una strategia di recupero e utilizzo può, anzi deve essere impostata adesso. Piacenza ha un patrimonio importante di competenze tecnico-scientifiche (penso alla sede locale del Politecnico di Milano, con la facoltà di Architettura) e di risorse industriali di settore (penso alle nostre aziende leader nel mercato dei materiali da costruzione, come PAVER ,RDB e Cementirossi), indispensabili per sostenere le attività di riqualificazione urbana. Ci sono quindi le pre-condizioni perché tale politica possa concretizzarsi a Piacenza, facendone una città-laboratorio per la qualità urbana e, al tempo stesso, una centro di attrazione di attività innovative e risorse umane qualificate. Serviranno tuttavia: - un soggetto che inquadri gli interventi possibili sulle aree di riqualificazione in un progetto unitario e integrato, e che faccia la regia urbanistica di tali interventi; tale soggetto non può che essere il Comune di Piacenza; - il coinvolgimento di soggetti privati, interessati allo sviluppo immobiliare e commerciale dei nuovi contenitori urbani e in grado di sollecitare l'interesse di una platea vasta, nazionale e internazionale, di potenziali utilizzatori; in questo senso, il precedente del polo logistico, con l'arrivo a Piacenza di Generali Properties (il braccio immobiliare del Leone di Trieste) è istruttivo; - l'individuazione di uno strumento operativo per la promozione del progetto complessivo e per la ricerca delle risorse finanziarie indispensabili alla realizzazione degli interventi; a quanto mi risulta, il Comune aveva pensato alla costituzione di una Società di Trasformazione Urbana (STU), affidandone la valutazione preliminare al Prof. Vaciago e a un valido urbanista come l'Architetto Edoardo Pregher: a che punto siamo?
A monte di tutto ciò, come ci insegna Trento, deve esserci la voglia di pensare in grande per il futuro di Piacenza. Qualcuno potrebbe obiettare che i grandi progetti (così come i grandi progettisti, alla Renzo Piano) costano, mentre le risorse pubbliche scarseggiano: io credo che, anche in questo ambito, Piacenza possa avere margini significativi di recupero. Un esempio per tutti: costruendo e facendo svolgere una gara seria e trasparente per l'affidamento del servizio di Trasporto Pubblico Locale (così come, peraltro, prescrive la legge regionale), gli Enti locali piacentini potrebbero arrivare a risparmiare un paio di milioni di Euro all'anno. Una discreta dotazione economica per rinnovare la nostra città.
------------------------------------- Commento di Filiberto Putzu :
Merli dimentica un piccolo particolare : Piacenza non è come Trento in una Regione a Statuto Autonomo coi relativi annessi e connessi economici....
|