di GIORGIO LAMBRI, Libertà 11/11/2005
Il caschetto è un po' ingrigito, ma l'aplomb è sempre lo stesso: profondo e apparentemente indecifrabile. Il maglione sgargiante aggiunge un inedito tocco di informalità al look del maestro Riccardo Muti, mentre racconta il primo anno di vita della sua "creatura", l'Orchestra giovanile "Luigi Cherubini", da una saletta dell'Albergo Roma, dove alloggia per quest'ultima settimana di prove prima della doppia esibizione che lo attende nel weekend (domani sera al Municipale e il giorno successivo a Legnago, in provincia di Verona), assieme ai suoi ragazzi. Sembra sereno il direttore, lontano anni luce dallo stress e dai veleni di Milano e della Scala. Dipinge la nostra città come un "giardino dell'Eden", l'ambiente ideale in cui far crescere questi giovani talenti della musica. Parla a ruota libera dei tagli alla cultura, del linguaggio universale delle note, della Riforma Moratti, ma soprattutto di Piacenza, che già apprezza per il vino buono, ma soprattutto per l'affettuosa discrezione con cui ha accolto i suoi allievi. Spiega che in meno di un anno di attività questi giovani sono cresciuti «in maniera strepitosa» e che nel loro futuro c'è già un ricco carnet di impegni.
Come va il lavoro con i ragazzi della "Cherubini"? «Questa è una settimana difficile perché stiamo mettendo a fuoco non uno, ma due programmi. Quello di domani sera a Piacenza e quello di domenica a Legnago, in provincia di Verona. Domani presenteremo al Municipale la Sinfonia "Concertante" di Mozart e la Quinta Sinfonia di Shostakovich, quindi due pagine molto impegnative. La prima perché Mozart è sempre impegnativo e richiede uno stile, una pulizia, un rigore e un fraseggio di altissima qualità; mentre quella di Shostakovich è una sinfonia del Novecento, di notevole difficoltà esecutiva perché richiede un grande virtuosismo tecnico da parte di tutte le "famiglie" di strumenti». (omissis) Un doppio test impegnativo? «Sì, perché in ventiquattro ore eseguiamo Mozart, Shostakovich, Salieri e Schubert. Una fatica notevole e una vera e propria sfida per un orchestra di giovani che non ha ancora un vero e proprio repertorio. Ma i ragazzi sono pieni di entusiasmo e li ho trovati anche molto acclimatati nella realtà piacentina; si sentono amati dalla città».
Per la "Cherubini" è già tempo di bilanci. «In poco meno di un anno l'orchestra è fiorita in maniera strepitosa, le esecuzioni non sono più sperimentali, ma cominciano a essere di alto livello professionale. D'altro canto, in questo pur breve lasso di tempo, i ragazzi hanno accumulato esperienze molto diverse. Al Festival di Ravenna hanno eseguito il Faust di Gounoud e la Sancta Susanna di Hindemith, per cui sono passati nello stesso mese da un'opera ottocentesca a una del Novecento. Hanno fatto esperienza con un grande pianista russo eseguendo musiche di Prokofiev; sono venuti con me a Malta e hanno eseguito la Quinta di Beethoven; a Trani hanno fatto la Quarta di Schubert. Insomma, il loro repertorio si sta allargando, come anche il loro bagaglio di esperienze e di nozioni».
La "Cherubini" e Piacenza: un matrimonio fresco, ma che sembra partito con il piede giusto. Non trova? «È vero. Devo dire che tutta l'organizzazione - a Piacenza come a Ravenna - è molto professionale. E questo soprattutto grazie ad amministratori come il sindaco Reggi e l'assessore Calciati che sono sempre stati vicini a quest'operazione, ci hanno creduto e la sostengono con affetto e con passione».
E i "suoi" ragazzi come sono stati accolti? «Sono molto benvoluti, anche solo quando vanno a prendere un caffè. E questo ha creato un clima - passatemi il termine - da "giardino dell'Eden" che non potremmo certo trovare in una grande città; quella di Piacenza è oggi la dimensione ideale per la Cherubini».
E invece per lei, come persona prima che come musicista, come è stata la scoperta di Piacenza? «Piacenza rappresenta il primo baluardo di quell'Emilia Romagna in cui vivo dagli anni '70, dunque per me oltrepassare il Po è un po' come riprendere la strada di casa. La città, poi, è piena di luoghi strepitosi. Non parlo solo della piazza principale e di certi stupendi palazzi, ma anche del castello di Rivalta - che sembra un luogo di sogno - di Castellarquato e di Bobbio. Anche Palazzo Galli, dove abbiamo concluso le prove, è molto bello: sembra fatto apposta per accogliere un'orchestra. E di questo devo dire grazie al presidente della Banca di Piacenza».
Normalmente di Piacenza colpisce - non solo la mente, ma soprattutto il girovita - anche l'eno-gastronomia. È stato così anche per lei? «In effetti la cucina è splendida; io non sono un gran mangiatore, ma ho scoperto alcuni piatti straordinari. Mi ha colpito però soprattutto il vino. A Castellarquato ho assaggiato l'Ortrugo, che non conoscevo e che ho molto apprezzato; un vino dal nome importante, quasi wagneriano, sembra uscito dalla tetralogia e a me ricorda la figura di Ortrud. Molto interessante anche il Gutturnio, altro vino dal nome importante, "gutta" in latino significa goccia».
In una recente intervista ad Avvenire lei ha detto: "Vedendo come trattano la cultura in Italia viene da pensare che nessuno voglia investire davvero sui giovani Se non ho ancora deciso di ritirarmi è solo perché voglio aiutare le nuove generazioni". Dunque la "Cherubini" può essere considerata una sorta di mosca bianca. «Lo è, non ci sono dubbi. Non esistono orchestre di formazione italiana così selezionate e che offrono la possibilità di lavorare - oltre che con il sottoscritto - con insegnanti di primissimo ordine. Nel futuro chiameremo a dirigere altri direttori importanti perché è giusto che questi giovani sperimentino altre idee ed altri modi di vedere la musica; ma vorrei sottolineare che anche il gesto di Piacenza di accogliere la "Cherubini" in modo così entusiastico può essere considerato una mosca bianca». (omissis) La famiglia Muti ha un notevole "feeling" con Piacenza. Lei dirige la "Cherubini" mentre sua moglie porta al successo "I Capuleti e i Montecchi" al Municipale. Lei era tra il pubblico alla "prima". Che cosa ha detto, dopo, il maestro Riccardo Muti alla regista Cristina Mazzavillani? «Niente, perché quando vado a vedere mia figlia Chiara che recita o mia moglie che fa degli spettacoli (come regista, in questo caso, oppure come presidente del Festival di Ravenna) cerco di essere piuttosto estraneo, mi metto in una condizione che potrei quasi definire di non appartenenza alla famiglia per poter essere più freddo possibile nel giudizio. Devo comunque dire che, rivedendo "I Capuleti e i Montecchi" - a cui avevo già assistito a Ravenna quando lo spettacolo è nato - ho trovato uno allestimento molto interessante, rimesso a punto e trasformato in certi dettagli. Ho visto peraltro che anche il pubblico l'ha gradito molto. La regia mi è sembrata fantasiosa ed economicamente vantaggiosa, senza grandi pretese dal punto di vista scenico. Il che oggi, con i tagli e la situazione attuale dello spettacolo, è cosa non da poco».
Giorgio Lambri, Libertà del 11 novembre 2005
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