Il fattore “G” ci salverà? Forse. Intanto per contrastare la morsa della crisi economica, le aziende piacentine, in gran parte di piccole dimensioni, fanno massa critica e scelgono sempre più la strada del Gruppo d'Impresa, vale a dire alleanze in cui imprese o persone fisiche detengono il controllo di altre società di capitale con quote maggiori al 50 per cento. Il loro numero è in aumento perché le imprese operanti in gruppo danno risultati complessivamente migliori. E poi, come sempre, uno sguardo ravvicinato sull'economia locale - proposto ieri dalla Camera di Commercio, per la terza giornata nazionale dell'Economia - mostra zone buie: quali la penuria di brevetti europei che fa di noi il fanalino di coda in regione, alternate a lampi di luce, vale per tutti il balzo del nostro export nell'high tech (+473per cento).
Ed è soprattutto la messa a fuoco delle dinamiche import/export a dirci come si muovono i flussi dei nostri prodotti sul mercato. Un dato allarmante: la caduta delle esportazioni di macchine utensili (-28,6 per cento nel 2004 sul 2003), anche per effetto del dollaro debole e del superEuro.
Il giudizio finale? Si fanno processi per migliorare, ma sotto certi aspetti siamo ancora troppo «lenti», ed è sempre più importante la crescita dimensionale, la ricerca di forme consortili e aggregazioni fra imprese.
Il nuovo rapporto camerale, che è essenzialmente un approfondimento di alcuni temi del dossier che annualmente fotografa l'economia locale, già presentato a febbraio, è stato illustrato ieri in Camera di Commercio dal presidente Giuseppe Parenti e si conclude con alcune raccomandazioni salienti: anzitutto l'opportunità di sostenere strategie organizzative innovative (gruppi e aggregazioni di imprese). Un ruolo forte dovrà esercitarlo, poi, la qualità e la specializzazione dei nostri prodotti - ha esortato Parenti - e non per nulla con la prossima creazione del marchio Made in Piacenza si punta a certificare ad alto livello le specialità agroalimentari. Da perseguire anche le politiche che facilitino accordi fra imprese finalizzate all'innovazione, nonché un più stretto contatto tra formazione e impresa per rendere proficui i percorsi di studio, al riguardo dei quali Parenti ha insistito sull'opportunità di scegliere strade tecnico-scientifiche, indirizzi come quelli offerti dal Politecnico, piuttosto che strade più tradizionali («occorre far capire ai giovani dove li lavoro li sta aspettando»). La sintesi Difficile trarre delle somme complessive dal sistema-Piacenza, monitorato dalla Camera di Commercio con la precisione di un sismografo, tuttavia l'immagine screziata che ne esce anche stavolta permette di giudicare «molto positivamente» il rinnovamento della forma giuridica delle società: scendono le ditte individuali (dal 64,45 per cento del '98 al 58,89 per cento di oggi) a tutto vantaggio delle società di capitale (passate dall'11,21 per cento all'attuale 14,9 per cento). Buoni anche i numeri del Gruppi d'Impresa, cresciuti dal 2000 al 2002 del 19 per cento, un trend nettamente superiore a quello emiliano romagnolo e italiano. A Piacenza oggi il totale delle imprese riunite in gruppi sono 958, per un insieme di 20.549 addetti e con una produzione di valore aggiunto sul 2002 di 2.874 milioni di euro. Più incisiva è anche la formazione professionale di dirigenti ed impiegati con elevata specializzazione: nel giro di tre anni l'incidenza di addetti è passata dal 21,7 per cento al 35,7 per cento, mentre diminuisce il peso delle professioni operative. Un fattore che fa pensare alla tendenza a concentrarsi su funzioni strategiche: comunicazione e marketing, logistica e trasporti, mentre cresce l'acquisto di semilavorati da altre aziende anziché produrli internamente. E ancora: il lieve ritocco verso l'alto degli investimenti (dall'1,1 per cento all'1,2 per cento rispetto al Prodotto interno lordo) non rende merito ai reali investimenti delle imprese, spiega Parenti, in quanto la ricerca effettuata, ma non finanziata dal pubblico, non emerge alla luce ed è superiore. Da segnalare la nostra scarsa propensione ai brevetti europei depositati, 72 per milione di abitanti in Italia e 98 a Piacenza (che tradotto nel pratico significa 25 brevetti in provincia), ma a fronte di un exploit regionale di ben 169. In altri Paesi il numero è assai superiore. «Le innovazioni si fanno - è il commento - ma c'è demoralizzazione nel brevettare le idee». (da Libertà del 10/5/2005)
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