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Quattro chiuse sul Po. Per navigarlo.

Il progetto dell’Agenzia per il fiume costerà 1.344 milioni

«Il nostro grande fiume tornerà navigabile.
La nostra civiltà è nata sulle rive di quell’acqua e noi non ce ne dimentichiamo».
Umberto Bossi lo ripete spesso, nei comizi come nelle lunghe chiacchierate notturne.
Il progetto di cui parla è una sorta di macchina del tempo: vuole riportare le condizioni del maggior fiume italiano al 1954.

Per il Carroccio, che al progetto ha dato una spinta decisiva attraverso il viceministro Roberto Castelli e l’assessore lombardo Davide Boni, c’è l’ovvio significato simbolico del recuperare la culla della Padania.
Ma in realtà, si tratta di un’opera gigantesca che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe dispiegare i suoi benefici effetti sul paesaggio, sulla qualità delle acque e dell’ambiente e sull’agricoltura. Spiega Castelli:
«Il progetto si basa su due pilastri principali.
Da una parte, la messa a regime delle acque del Po attraverso quattro sbarramenti dotati di conche di risalita per le navi. Dall’altra, il collegamento di Milano con il fiume attraverso l’adeguamento del canale della Muzza».

In realtà, quello che di solito viene presentato come il futuro porto di Milano dovrebbe sorgere a Truccazzano, una ventina di chilometri a est del capoluogo lombardo. Il primo obiettivo, spiega Castelli, «è quello di rendere navigabile il Po tutto l’anno, visto che oggi per alcuni mesi la cosa è, come minimo, avventurosa.
Il che renderebbe, almeno per alcuni tipi di merci, il trasporto su fiume un’alternativa credibile a quello su gomma».
Il progetto è infatti dimensionato per rendere possibile la navigazione delle navi di classe quinta: bestioni lunghi fino a 105 metri, larghi fino a 11,5, dal pescaggio di 2,5.
Oggi, continua l’ingegnere-ministro, «il drammatico prelievo delle cave di materiali da costruzione ha abbassato il livello del fiume anche di 5 metri rispetto a mezzo secolo fa».
Con effetti devastanti anche sull’ambiente:
«Per esempio, molto spesso i pesci depositano le uova su banchi di sabbia sommersi. Senonché, nei periodi di magra, le uova si ritrovano all’asciutto e dunque muoiono».

I quattro sbarramenti (ma se ne ipotizza anche un quinto in provincia di Rovigo) dovrebbero sorgere tra Motta Baluffi (Cremona) e Roccabianca (Parma), tra Viadana (Mantova) e Brescello (Parma), tra Borgoforte e Motteggiana (Mantova), tra Sustinente e Quingentole (Mantova), poco più a valle della confluenza del Mincio nel Po.
Negli sbarramenti (o «traverse»), di altezza variabile tra gli 1,8 e i 5 metri, c’è anche la chiave del finanziamento dell’opera: la caduta dell’acqua alimenterà quattro impianti idroelettrici (in totale, 930 Gwh all’anno, il 2% dell’energia rinnovabile italiana) in grado di ripagare entro il 2024 il miliardo e 344 milioni necessari alla regimentazione.
La formula di realizzazione è il project financing che, secondo lo studio di fattibilità realizzato dall’agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo), ne consentirebbe il finanziamento senza alcuna contribuzione pubblica.
In ogni caso, «abbiamo già sollecitato il commissario ai Trasporti Antonio Tajani per capire se esiste la possibilità di un finanziamento Ue, soprattutto per il collegamento di Truccazzano.
Secondo Castelli, l’iter autorizzativo sarà completato entro il 2012 e i lavori dovrebbero terminare nel 2018.

Il progetto servirà inoltre a innalzare e stabilizzare le falde idriche, anche se ciò potrebbe rappresentare un problema in alcune zone di golena in cui il piano di campagna è particolarmente basso.
Secondo Castelli, inoltre, la regolamentazione delle acque sarà utilissima «anche per l’irrigazione nei periodi di siccità».
Per l’agricoltura, in primo luogo, ma anche per il raffreddamento delle centrali termoelettriche di Ostiglia e Sermide.
Inoltre, la regolamentazione contrasterà la risalita dell’acqua salata nel delta. Castelli è ingegnere e parla da ingegnere.

Per Davide Boni, assessore regionale all’Urbanistica, la maxi è opera «è un sogno che in me coinvolge il cuore più ancora che la testa. Io corro dietro a questo da quando ero presidente della Provincia di Mantova: se ci crediamo, saremo in grado di riportare in vita l’antica civiltà fluviale, per migliaia di anni il cuore vivo di queste regioni».
Boni si lancia:
«Il 56% del Pil italiano nasce su queste rive, ma soprattutto qui sono nate tutte le spinte al cambiamento: intorno al Po è nato il socialismo italiano, le prime leghe contadine. E poi il fascismo e anche la resistenza. E scusatemi se io ci metto anche la Lega».
In realtà, sul progetto è anche possibile nutrire riserve.

Per Marco Ponti, ordinario di Politica dei trasporti al Politecnico di Milano, il punto più debole del piano è proprio la sua capacità di rilanciare il Po come via d’acqua per il trasporto merci:
«L’utilizzo delle vie d’acqua a questo scopo è in grave crisi anche nei Paesi, come Francia e Germania, in cui c’è un’antica tradizione e infrastrutture ammortate da tempo. Uno dei suoi maggiori nemici, è la cosiddetta "rottura di carico": il dover cioè disfare i carichi per poi ricostituirli una volta sbarcati».

Il trasporto via fiume «è adatto soltanto a pochi tipi di merci, povere e pesanti, che non hanno problemi di deperibilità e di velocità di consegna.
Beni come carbone, mattoni, legname, sabbia, in cui l’economicità del trasporto è cruciale».
Inoltre, sul Po «la domanda sarebbe tutta da costruire, o quasi».
Marco Ponti sembra scettico anche sul sistema della finanza di progetto:
«All’inizio, anche a me era sembrata una nuova leva importante. Ma a oggi, abbiamo visto che non sempre dà i risultati sperati: comprime la concorrenza e spesso si trasforma in una sorta di prestito mascherato dei privati al pubblico. Ma ai politici piace moltissimo perché consente di dire che una certa opera è a costo zero».
Molto più possibilista, il professore milanese appare sugli altri aspetti dell’opera, in primo luogo quello ambientale:
«In generale, gli ambientalisti non sono entusiasti delle opere di irregimentazione. Ma in questo caso, mi pare che quanto meno si possa sospendere il giudizio in vista di un approfondimento».

Insomma, il sogno potrebbe avverarsi. Mentre l’impulso alla riscoperta delle vie d’acqua sembra diffondersi: lo Yachting club di Milano sta promuovendo il recupero della Darsena, il vecchio porto di Milano, a fini diportistici.
Ci crede anche Castelli: «E bastano due milioni di euro».

Marco Cremonesi
Corriere della Sera ,18 giugno 2009


pubblicazione: 18/06/2009

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