FEDERICO GEREMICCA
E poi dicono che la politica non è, a modo suo, una scienza esatta. Che presuppone esperienza, tecnica e perfino memoria.
Ecco, se qualcuno avesse fatto ricorso almeno alla memoria, forse il centrosinistra non si sarebbe cacciato in questo gigantesco e pericoloso pasticcio che va già sotto il nome di «Prodi e il premier ombra».
Sarebbe bastato ricordare che cosa accadde nel 2001 quando, con Giuliano Amato governante a Palazzo Chigi, fu invece messo in pista Francesco Rutelli come candidato premier.
Berlusconi ci sguazzò per l’intera campagna elettorale («Amato ha fatto così male che nemmeno lo candidano»): una campagna elettorale che, alla fine, lo vide largamente vincitore. Ora, si è soliti sentenziare che la storia non si ripete mai allo stesso modo, ed è in questo che deve sperare l’Unione: perché il dualismo Prodi-Veltroni non soltanto è divenuto evidente, ma sta quotidianamente segnando (a danno del governo) la polemica politica dopo la pausa ferragostana.
Da un po’, quando si riferiscono a Veltroni, alcuni ministri lo chiamano “premier ombra”. Altri, come Angius, addirittura “premier in pectore”.
«Ci era stato spiegato - ha lamentato ieri il vicepresidente del Senato - che il Pd sarebbe stato garanzia di stabilità, e invece è un fattore di tensione nella maggioranza. Non possono coesistere due presidenti del Consiglio, uno in carica e l’altro in pectore: Prodi e Veltroni la piantino e si mettano d’accordo su come governare l’Italia». Facile a dirsi, più difficile a farsi, considerate le esigenze assai diverse dei due: Prodi punta sulla continuità del proprio lavoro, fida su quella che una volta si sarebbe definita politica “dei due tempi” ed è certo che alla fine il risanamento sarà raggiunto, e con esso la possibilità di metter mano alla riduzione delle tasse; Veltroni, al contrario, non è affatto convinto che il governo abbia quattro anni davanti, chiede risultati spendibili in una eventuale campagna elettorale ravvicinata ed è preoccupatissimo dall’ipotesi di finire lentamente nel pantano nel quale è costretto a muoversi il premier. Non facile raggiungere un’ intesa sul che fare.
Se alle difficoltà oggettive si aggiungono poi i sospetti prodiani sulle reali intenzioni del sindaco di Roma e quelli veltroniani su certe manovre del clan del premier, il gioco - anzi il pasticcio - è praticamente fatto. E il risultato può finire per essere quello di ieri: con i giornali che titolano “Tasse, Veltroni contro Prodi”, Rutelli che scende in campo affianco del sindaco di Roma («Bisogna dare un messaggio di riduzione fiscale già nella prossima finanziaria») e Palazzo Chigi che tiene il punto e se ne frega: «La riduzione delle imposte è un impegno di lungo periodo, la priorità è ridurre il debito». Scontro frontale, e altro che partito di lotta e di governo... Se continuasse così, l’opposizione potrebbe continuare le vacanze, che tanto a far traballare l’esecutivo ci pensa il partito che avrebbe dovuto rafforzarlo.
Dicevamo dei sospetti, e sia Prodi che Veltroni - politici di lungo corso - ne nutrono in abbondanza. Il premier non ha mai speso una parola meno che affettuosa nei confronti del sindaco di Roma: ma da giorni ci pensano gli uomini (e le donne) a lui più vicini. Rosy Bindi, per esempio, è settimane che ha messo Veltroni nel mirino. L’ultima ieri: «Non fa bene al governo né al Pd il conflitto giornaliero tra partito e governo, così come questo contrappunto giornaliero di Veltroni ad ogni azione di Prodi». Che, non va dimenticato, ha probabilmente subito - facendo buon viso a cattiva sorte - l’improvvisa accelerazione con la quale furono decise la scesa in campo del sindaco di Roma e la sua potente investitura con le primarie (ancora pochi giorni prima di quella scelta, infatti, alla guida del Pd Prodi voleva uno speaker di sua personale nomina). Se a questo si somma la convinzione prodiana che Veltroni stia diventando la testa di ponte di quanti nella Margherita non lo hanno mai amato (da Rutelli a Marini, per intendersi) si capisce il perché del tener duro del premier di fronte a qualunque sollecitazione arrivi dal sindaco.
Né meno sospettosi circa il reale gioco del capo del governo, naturalmente, sono Veltroni ed i suoi fedelissimi. Per il futuro leader del Pd l’ideale sarebbe un esecutivo che recuperasse consensi nel Paese, durasse ancora un paio di anni e gli lanciasse la volata per la prima sfida a Berlusconi. Ma Veltroni non crede praticamente più che questo sia possibile. L’ultimo mese - con la ripresa di conflittualità nella maggioranza, minacce di crisi e stallo totale sulla legge elettorale - lo hanno convinto, piuttosto, che il bivio di fronte al governo sia riassumibile più o meno così: o una penosa agonia (che renderebbe poi certa la sconfitta elettorale) o un improvviso precipitare verso le elezioni, che ai suoi occhi potrebbe perfino essere il male minore. Quel che è certo, è che per Veltroni è sempre valido il principio che illustrò il suo braccio destro, Bettini, all’avvio dell’avventura delle primarie: «Il Pd non può impiccarsi a questo governo». E che succede, allora, se la sensazione dovesse diventare quella di uno stanco tran tran, di un esecutivo - insomma - che tira a campare?
Se le cose stanno così - e i fatti, per ora, sembrano confermarlo - le tensioni tra la “strana coppia”, premier in carica e presidente in pectore, non potranno che aumentare, a tutto danno dell’azione di governo e del processo di nascita del Partito democratico. L’auspicio che formulano osservatori neutrali è che il necessario chiarimento arrivi prima che sia troppo tardi. Prodi e Veltroni sanno che non possono lasciar precipitare le cose, e si incontreranno quanto prima per decidere il da fare e scongiurare un’ipotesi che fino a ieri sembrava fantapolitica o poco più: e cioè il divorzio tra “Romano e Walter”, democratici ante-litteram e, soprattutto, gli uomini che in tandem fecero sognare l’Ulivo portandolo all’indimenticata vittoria del 1996.
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