Il ministero: "tappezzare" le vetrine dei negozi è propaganda vietata
Pochi dubbi, i point elettorali tappezzati giorno e notte di slogan, video, maxi-manifesti, in gran quantità e perfettamente visibili dall'esterno, anzi, a quello specifico scopo affissi, sono irregolari.
Così ha fatto sapere il ministero dell'Interno appositamente interpellato dalla prefettura dopo la polemica sollevata dal candidato a sindaco di Fiamma Tricolore e Fronte d'azione, Pino De Rosa - poi seguito da Maurizio Sesenna, portacolori di Esistenza Civile - per una campagna elettorale caratterizzata dalla fioritura di point (solitamente in ex negozi con le vetrine il più possibile in vista posizionati in luoghi di forte passagio) con annesso dispiegamento di materiale di propaganda.
«Sono ovviamente vietate l'affissione o l'esposizione di stampati, giornali murali od altri, e di manifesti inerenti, direttamente o indirettamente, alla propaganda elettorale in qualsiasi altro luogo pubblico o esposto al pubblico, nelle vetrine dei negozi, nelle porte, sulle saracinesche, sui chioschi, sui capanni, sulle palizzate, et similia».
È questo il passaggio centrale della direttiva del ministero arrivata l'altro ieri. In sostanza, negli ultimi 30 giorni prima delle elezioni gli unici spazi appropriati per l'affissione del materiale della propaganda elettorale sono i tabelloni appositamente posizionati dal Comune, generalmente nelle vicinanze delle scuole sedi di seggio elettorale, spazi la cui ripartizione tra le forze politiche in campo è precisamente disciplinata.
Le uniche eccezioni ammesse, spiegano dal Viminale, sono «le insegne indicanti le sedi dei partiti», così come «non configurano sostanzialmente forme di pubblicità le affissioni di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche poste in luogo pubblico, regolarmente autorizzate».
Niente da fare invece, nemmeno nelle bacheche autorizzate, per l'esposizione di «materiale di propaganda». «Non si rinvengono», conclude il ministero dell'Interno, «fattispecie derogatorie ulteriori rispetto a quelle evidenziate né è dato desumerle in via di interpretazione analogica» esistendo un «espresso limite» di legge.
Ieri la direttiva romana è stata "girata" dalla prefettura - tramite una nota a firma del viceprefetto Sante Copponi - ai responsabili dei partiti, con l'«invito ad attenersi scrupolosamente alle disposizioni». Anche ai sindaci dei Comuni chiamati al voto - oltre a Piacenza, Agazzano, Bettola, Carpaneto, Monticelli e Villanova - è stata mandata la nota ministeriale, con «preghiera di provvedere ad effettuare, con le modalità ritenute opportune, analoga comunicazione nei confronti dei partiti e candidati che hanno promosso iniziative di propaganda elettorale del tipo di quelle in oggetto, con l'invito a regolarizzare le medesime in conformità con la vigente normativa».
«Inviti», «preghiere». Termini prudenti quelli utilizzati dalla prefettura, nell'auspicio, pare di cogliersi tra le righe, che siano i candidati, spontaneamente, ad adeguarsi togliendo dalle vetrine lungo le strade del centro (ma non solo) i maxi-manifesti. Chi più (come Roberto Reggi, candidato sindaco dell'Unione, e Dario Squeri del centrodestra), chi meno (come Rosarita Mannina, portacolori di Partecipa Piacenza, e Gianni D'Amo di Cittàcomune e Alleanza per Piacenza), sono in molti ad avere aperto point elettorali in questi giorni. E non solo i candidati a sindaco, ma anche alcuni al consiglio comunale come i forzisti Massimo Trespidi e Andrea Pollastri. Alla loro coscienza è innanzitutto affidata la direttiva del ministero. Ma se non ottemperanno potrebbero anche essere usate le maniere forti. Gustavo Roccella
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