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giovedì
7
dicembre
2023
Sant'Ambrogio
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Piacenza
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Piazza Cavalli (pic 1)
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Il Duomo di Piacenza (pic 2)
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Trittico, Serafino dè serafini, Duomo (pic 3)
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Basilica di S.Antonino (pic 4)
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Teatro Municipale, Piacenza (pic 5)
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Palazzo Farnese (pic 6)
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Fegato di Piacenza, II sec.AC, Palazzo Farnese (pic 7)
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Madonna adorante il figlio, Botticelli, Palazzo Farnese (pic 8)
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Basilica di San Sisto (pic 9)
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Madonna sistina, Raffaello, S.Sisto (pic 10)
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Madonna di S.Maria di Campagna (pic 11)
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Cristo alla colonna, Antonello da Messina, Galleria Alberoni (pic 12)
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Piacenza, la storia (Placentia romana).
Come ricordano gli storici antichi Livio e Polibio, Piacenza fu fondata nel 218 a.C., insieme a Cremona, in corrispondenza di uno dei meandri del Po, dove esisteva un punto di passaggio obbligato, per contrastare le genti galliche qui precedentemente stanziate.
Fu la cinquantesima colonia, la seconda in Emilia (la prima era stata Rimini).
Per la sua fondazione furono inviati 6.000 coloni, per lo più originari di Roma e di estrazione popolare.
Sulla città appena fondata si diressero, durante la seconda guerra punica, il cartaginese Annibale e suo fratello Magone.
Presso il Trebbia li attendevano le legioni romane, guidate in un primo tempo da Scipione e successivamente dal console Sempronio giunto con i rinforzi.
Lo scontro avvenne nella seconda metà di dicembre, in condizioni climatiche assai difficili e vide non solo la disfatta delle truppe romane, ma pure la successiva ribellione di Galli e Liguri, domati solo nel 155 a.C.
Terminate le operazioni belliche, fu ripresa un’efficace opera di riorganizzazione del territorio, tanto che quando Augusto, nella prima età imperiale, abolì la Cisalpina e divise l’Italia in province, Piacenza entrò a far parte della ricca ottava regio con il nome di Augusta Placentia.
In quest’epoca la popolazione si aggirava approssimativamente sui 30.000 abitanti,
oltre ai 60.000 stanziati nel territorio circostante.
La città poteva ospitare sei legioni ed era abitata sia da romano-italici, sia dai discendenti dei Galli e dei Liguri, che con il passare del tempo si erano gradualmente integrati.
La colonia venne impostata su due assi principali, perpendicolari tra di loro, che dividevano in quattro quadrati lo spazio urbano. Tali arterie, denominate decumano e cardine massimi, servivano anche come elementi generatori dell’impianto delle vie minori, tracciate ad intervalli regolari.
Fu inoltre portata a termine anche l’opera di bonifica e di centuriazione del territorio pertinente a Piacenza, esteso ad occidente fino al centro di Casteggio.
Sia la città di Piacenza, sia l’agro circostante vennero attraversati da un efficiente sistema itinerario: accanto alle importanti idrovie del Po (per il quale è stata accertata l’esistenza di un porto nella zona di Soprarivo-Boscone Cusani e nei pressi di Piacenza), navigabile da Torino a Ravenna in due giorni, fu posto in opera un articolato reticolo stradale che non si limitò a collegare la colonia alle vallate appenniniche del suo territorio, ma consentì anche scambi economici e commerciali con i più vitali centri della Cisalpina.
Infatti nel 187 a.C. fu costruita la via Emilia, per collegare Rimini a Piacenza .
Piacenza fu attraversata anche da un’altra strada consolare, la Postumia, realizzata nel 148 a.C. per congiungere Genova con Aquileia, il mare Ligure con l’Adriatico.
Se si escludono gli scontri della guerra civile del 69 d.C. quando, come ricorda Tacito, venne distrutto l’anfiteatro, questa zona conobbe un lungo periodo di pace durato fino all’epoca dei Severi (inizio III secolo d.C.). Negli anni di Aureliano (270-275 d.C.) cominciarono dei marcati segnali di crisi: si ebbe infatti la prima calata in Italia di genti di origine germanica (Alemanni e Jutungi) che a Piacenza, presso il Po, sconfissero le legioni imperiali.
Alla fine del IV secolo anche Piacenza, come molte altre città, era in una situazione rovinosa.
Un secolo dopo, nel 476 d.C., proprio nel capoluogo emiliano si concluse il ciclo storico dell’Impero Romano d’Occidente con l’uccisione del generale Oreste e la deposizione dell’ultimo sovrano, Romolo Augustolo, ad opera del re degli Eruli Odoacre.
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Piacenza oggi.
La Piazza dei "Cavalli"
Questa piazza ordinariamente era detta Grande.
Nel XVII, con la realizzazione delle due statue equestri venne rinominata dai piacenti dei Cavalli.Le due statue in bronzo rappresentano i Duchi Alessandro e Ranuccio Farnese.
Vennero realizzate dal Mochi, che le ideò nel 1612.
Il monumento di Ranuccio, raffigurato in costume da condottiero romano (collocato sulla destra della piazza) fu inaugurato il 9 novembre 1620. sul bassorilievo della base sono raffigurati la pace e il buon governo.
Il 6 febbraio 1625 venne inaugurato il monumento di Alessandro.
Sul basamento ornato da putti, sono raffigurate scene delle guerre combattute da lui nelle Fiandre, tra cui quella con il celebre ponte sul Scheda, presso Anversa.
Palazzo Gotico
Antica sede del comune, venne eretto nel XIII secolo sulle rovine di un antico fortilizio denominato de Casasco, donato al popolo piacentino dall’ononima famiglia nel 1132.
Pare sia opera di ingegneri piacentini: Pietro Borghetto, Pietro Cagnano, Gheraldo Campanario e Negro dé Negri.
Alla spesa concorsero i Paratici delle corporazione dei mestieri, il Capitolo della Cattedrale e del Clero. Il fronte del palazzo è largo 42,26 e alto 27,15 metri.
La Cattedrale (il Duomo)
La cattedrale fu edificata nel 1122 sulle rovine della precedente chiesa di Santa Giustina, distrutta da un sisma nel 1117.
La facciata a capanna è suddivisa in tre parti da due semicolonne che ingentiliscono e slanciano la struttura. I portali di ingresso del duomo, dotati di eleganti protiri, sono decorati con sculture riconducibili alla scuola di Niccolò e a quella di Wiligelmo.
Una galleria di archetti pensili percorre la facciata e le navate laterali, mentre quella centrale è illuminata da grandi monofore a sesto acuto.
Il campanile fu costruito un secolo più tardi e nel 1341 il "magister lignaminis et petre" Pietro Vago innalzò la guglia sulla quale fu collocato un angelo bronzeo, considerato il simbolo della città e definito affettuosamente "Angil dal Dom".
Sotto la cella campanaria fu installata, per volere di Ludovico il Moro, una gabbia (oggi ancora visibile) per rinchiudervi i responsabili di reati contro la Chiesa e lo Stato.
Sull’abside che si affaccia su via Vescovado si apre una splendida finestra decorata con sculture (XII secolo circa) raffiguranti, nella sezione superiore l’Annunciazione e nella sezione inferiore due profeti.
L’interno, a croce latina, è diviso in tre navate da poderosi pilastri lobati.
Sul primo pilastro a destra è raffigurata ad affresco la "Madonna delle Grazie" (1400 circa) considerata dai piacentini come immagine miracolosa. Sugli altri pilastri sono scolpite le formelle delle corporazioni piacentine del XII secolo, dette paratici, che finanziarono la costruzione della cattedrale.
Nel punto di intersezione tra la navata centrale ed il transetto si inserisce il poderoso tiburio ottagonale affrescato con figure di profeti da Pier Francesco Mazzuchelli detto il Morazzone (1626) e, dopo la sua morte, da Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (1627).
Nella parte sinistra del transetto è conservata la vasca battesimale del precedente edificio paleocristiano, insieme a un dipinto raffigurante San Girolamo, opera del pittore bolognese Guido Reni è un piccolo polittico dipinto con scene bibliche da Serafino dei Serafini.
Dietro l’altare maggiore è situato un polittico di legno policromo opera di Antonio Burlengo e Bartolomeo da Groppallo (1476). Sempre nel presbiterio si segnalano gli affreschi realizzati tra il 1605 e il 1609 da Camillo Procaccini - a cui si deve anche la pala d'altare raffigurante il Transito di Maria Vergine (oggi collocata sulla controfacciata) - e da Ludovico Carracci.
La cripta, che conserva le reliquie di Santa Giustina, presenta delle splendide colonne con capitello, molte delle quali sono però frutto di restauro ottocentesco e novecentesco. Vi si conservano anche tracce di affreschi un po' ovunque, ascrivibili al XV secolo.
Chiesa di Sant'Antonino
Tra gli edifici sacri piacentini la Basilica di S. Antonino è sicuramente uno dei più interessanti.
All’anno 400 si fa risalire la traslazione nella suddetta basilica del corpo di Sant’Antonino, patrono della città, soldato della legione Tebea, decapitato, secondo la tradizione, nei pressi di Travo nel 303.
I resti del santo sono ancora oggi conservati in un’urna sotto l’altare maggiore, assieme a quelli di San Vittore, primo vescovo di Piacenza (322-357).
La collocazione extra moenia espose la chiesa a continue distruzioni e saccheggi fino alla sua distruzione avvenuta nel X secolo.
Data la sua particolare struttura l’edificio è stato considerato il frutto di successive campagne di costruzione, ma studi recenti hanno stabilito che si tratta di un unico cantiere, identificabile con quello finanziato dal vescovo di Piacenza Sigifredo nel 1014.
A quest’epoca risale probabilmente tutto l'impianto architettonico della chiesa, compresa la base quadrata della torre, alzata poi nel corso del XII secolo e alleggerita da bifore disposte su tre ordini.
Al XI secolo risalgono le figure del portale, rappresentanti Adamo ed Eva, riconducibili per le loro caratteristiche alla "scuola di Piacenza".
L’interno risulta diviso in tre navate da poderosi pilastri. Il pavimento fu sopraelevato, lasciando, fortunatamente, in evidenza le basi delle colonne risalenti al periodo preromanico.
Gli affreschi rappresentano un importante ritrovamento sia per la stretta integrazione tra la partitura architettonica e la decorazione, sia per la qualità dei brani pittorici, riconducibili alla scuola lombarda. I personaggi che vi sono raffigurati ricordano le figure greco-bizantine per la fisionomia orientaleggiante e la staticità della figura, ritratta sempre frontalmente o leggermente girata. Gli studiosi ritengono che si tratti di patriarchi e di profeti, uno dei quali è identificabile con Osea.
Al 1624 risalgono gli affreschi del presbiterio realizzati da Camillo Gavasetti.
Nel presbiterio sono presenti cinque grandi tele realizzate da Robert de Longe (1693-1695) con le storie di Sant’Antonino.
La pala d'altare rappresenta S.Antonino e S.Savino venerano la reliquia della S.Spina mentre le quattro tele alle pareti raffigurano: la Predicazione di S. Antonino, la Decapitazione di S.Antonino, il Ritrovamento e la Traslazione del corpo del Santo.
Chiesa di San Sisto
Fondata nell’869 dall’imperatrice Angilberga, moglie di Ludovico II fu dotata di un ingente patrimonio territoriale e per questo sempre contesa tra i vari ordini monastici, fino a che nel 1425 vi si stabilirono i monaci benedettini dell’ordine Cassinese. Nel 1499, si procedette alla costruzione della nuova chiesa. L’incarico fu assegnato ad Alessio Tramello che lo portò a termine nel 1511.
La facciata è invece ascrivibile al 1590.
L’interno è decorato da motivi vegetali e figure allegoriche opera di Bernardo Zacchetti da Reggio Emilia. Nell’abside e nelle cappelle sono conservate tele di Campi, Procaccini, Jacopo da Ponte detto il Bassano e Nuvolone.
Nel transetto sono collocati l’urna di Santa Barbara, ava di Angilberga, e il monumento a Margherita d’Austria, alla quale si deve la costruzione di palazzo Farnese. Sulla parete di fondo troneggia la grande e ridondante cornice barocca che racchiudeva la celeberrima "Madonna Sistina" di Raffaello, venduta per debiti alla città di Dresda e sostituita nel 1754 da una copia dell’Avanzini.
Pregevolissimo il coro di legno intarsiato datato 1514 opera di Pietro da Colorno e Bartolomeo da Busseto.
Il convento fu soppresso nel 1809 e trasformato in caserma, mentre la chiesa divenne parrocchia sostituendosi a Santa Maria di Borghetto.
Chiesa di San Savino
San Savino è considerata una delle più significative realizzazioni del Romanico lombardo.
Fu edificata verso la fine IV secolo per volere del vescovo Savino ma fu distrutta dagli Ungari nell’899. La sua ricostruzione iniziò nel 903 e fu portata a compimento nel 1107 al tempo del vescovo Aldo.
L’interno è diviso in tre navate da pilastri polistili secondo una successione a sistema alternato di tre campate coperte da volte a crociera cupoliformi. Le navate laterali si appoggiano a sud al campanile e sono concluse a nord con un abside semicircolare frutto di un restauro.
Dell’originale apparato decorativo sono rimastre, oltre le sculture dei capitelli (XI-XII secolo), alcuni brani del pavimento musivo, ubicati nel presbiterio, nell’abside Nord e nella cripta.
Il mosaico del presbiterio presenta un impianto rettangolare ritagliato da una cornice moderna. Nel riquadro centrale, inscritta a sua volta in un cerchio campeggia una figura barbuta, che reca in mano i simboli del Sole e della Luna e che gli studiosi hanno identificato con l’Anno, confrontandolo con un altro mosaico conservato nella cattedrale di Aosta. Attorno disposti anch’essi dentro un cerchio, vi sono quattro coppie di animali fantastici. Esternamente, quattro personaggi sono raffigurati nell’atto di girare il cerchio più esterno. Negli altri comparti sono rappresentate scene allegoriche che alludono all’eterno conflitto tra Fortuna e Virtù.
I mosaici della cripta presentano i Segni Zodiacali associati al mese e alla relativa attività. Vicino alla Bilancia si nota la figura di una sirena che tiene tra le mani una maschera teatrale, mentre a lato del Sagittario vi è un’altra sirena bicaudata.
L’edificio subì diverse manomissioni soprattutto durante il Seicento, quando fu aggiunto il pronao che modificò l’originale impianto romanico.
Basilica di Santa Maria di Campagna
Il luogo dove sorge la chiesa di Santa Maria di Campagna è storicamente legato ad un momento cruciale nella rinascita dell'Occidente cristiano: il Concilio del 1095, che diede origine al movimento delle Crociate. A quell'epoca in quest'area, benché si trovasse fuori dalle mura cittadine, esisteva un santuario dedicato alla Madonna e detto di "Campagnola".
Il luogo era inoltre passaggio obbligato per i pellegrini in viaggio verso la Terra Santa o verso Roma e rivestiva dunque un chiaro significato simbolico nell'ottica di chi, come lo stesso papa Urbano II che aveva voluto il Concilio, pensava a riunire la cristianità nella grande impresa della riconquista dei luoghi santi.
La chiesa attuale è successiva; fu costruita infatti a partire dal 1522 su progetto di Alessio Tramello, importante architetto piacentino che qui - come nelle altre due chiese della città legate al suo nome, S. Sepolcro e S. Sisto - declina con grande la lezione del Bramante "milanese".
In S. Maria di Campagna egli si confronta con un tema fondamentale dell'architettura rinascimentale, il tempio a pianta centrale.
Lotario Tomba nel 1791 ampliò il coro, già peraltro frutto di un intervento cinquecentesco; tuttavia il Tramello stesso aveva previsto una leggera dissimmetria alla croce greca nel braccio di ponente, per la presenza della cappella dove nel 1531 alla fine dei lavori venne collocata la scultura lignea della Madonna di Campagna.
La statua in legno policromo raffigurante la Madonna di Campagna, risale al XIV secolo.
A partire dal 1530 Giovanni Antonio De Sacchis, detto il Pordenone, realizzò gli affreschi della cupolacentrale, della cappella di Santa Caterina, della cappella dei Magi.
L'abilità del Pordenone nella resa delle figure di scorcio trova la massima espressione negli affreschi della cupola.
La chiesa ebbe il valore di "tempio civico" e svolse la funzione di cappella ducale dei Farnese. A ciò si devono i riferimenti alla città di Piacenza in alcuni degli affreschi che la decorano.
Degno di nota è il coro ligneo realizzato tra il 1560 e il 1565 da Giulio Rossi.
Al piacentino Giulio Mazzoni si deve la decorazione a stucco ed affresco della cappella di Santa Vittoria, rarissimo esempio di decorazione tardomanierista di derivazione romana.
All'inizio del Seicento risalgono il S. Sebastiano e il S. Rocco di Camillo Procaccini nel transetto sinistro. Alla fine del Seicento risale, invece, la pala con La Madonna e Santi di Pier Antonio Avanzini per la cappella di S. Antonio .
L'Annunciazione di Ignazio Stern è datata 1724, mentre al 1757 risale il gruppo scultoreo con il Crocifisso, la Vergine, San Giovanni e la Maddalena opera di Jan Geernaert, entrambe nel transetto destro.
Grande interesse rivestono anche le tele rettangolari del fregio eseguite da vari artisti tra la prima metà del Seicento e la prima metà dell'Ottocento, tra cui Alessandro Tiarini, Daniele Crespi, Camillo Gavasetti .
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pubblicazione: 19/06/2004
aggiornamento: 19/11/2006
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