Piano Strategico per Piacenza
PERCHE’ LA VISIONE NON DIVENTI UN MIRAGGIO
Da qualche tempo Piacenza si interroga sul suo futuro, ed in particolare su cosa fare per lo sviluppo del territorio. Come i lettori piu’ attenti ricorderanno il “Patto per Piacenza” firmato nel gennaio 2002, si è trasformato nel gennaio 2003 in “Piano Strategico”, poi denominato dal maggio 2005 “Vision 2020”. L’obiettivo in estrema sintesi dovrebbe essere quello di programmare lo sviluppo economico e sociale del nostro territorio. E’ necessario quindi identificare degli obiettivi nell’ambito di un progetto (la “vision”) e costruire una strategia. Ma già a questo punto iniziano le difficoltà .
Chi deve stabilire gli obiettivi ed il futuro di Piacenza ? La responsabilità è dei tecnici o degli amministratori ? O di entrambi assieme ? L’argomento non è ininfluente, ed è stato evocato da Pierluigi Magnaschi e da Ettore Gotti Tedeschi forse favorevoli ad un ruolo predominante dell’impresa. E’ verosimile che il tecnico (l’impresa, il privato) debba indicare i progetti che ritiene utili, e l’amministratore (il politico che deve garantire il bene pubblico) debba selezionare le azioni nell’interesse della società e del territorio, possibilmente (e meglio) sulla base di indirizzi espressi dai cittadini sul modello di territorio che essi preferiscono.
E ancora, ipotizzare quelle che saranno le necessità della città nel lungo periodo (Vision 2020) non è certamente facile. Riusciremo ad azzeccare, ad indovinare le scelte in un mondo che viaggia a grande velocità, con istanze rapidamente variabili, con territori limitrofi egualmente competitivi e desiderosi di affermarsi?
A tutt’oggi si discute su un Documento di base , su un’analisi di partenza che è stato elaborato dalla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica. Il documento descrive i nostri punti di forza, le nostre debolezze, le opportunità, le minacce. Vengono inoltre delineate priorità di intervento sulla base della competitività e della sostenibilità. Piacenza quindi va sviluppata, e resa meglio vivibile, attraente ed attrattiva, con conseguenti benefici economici e sociali.
Ma Piacenza va anche comunicata. Va comunicata perché dopo che ci è stato affibbiato il titolo di “Bella Addormentata”, risulterebbe spiacevole ricevere il titolo di “Morosa in attesa”. E cioè della ragazza che seduta nella sala da ballo, aspetta di trovare il fidanzato, sotto un pesante cappotto che ne nsconde le forme, senza aver dimostrato prima se sa ballare, se sa cucinare, quanto è intelligente o meno…
Ma cos’è a tutt’oggi che potremmo comunicare del nostro territorio ? Mentre la provincia può sfruttare meglio le sue carte vincenti in ambito turistico ed enogastronomico, la città capoluogo ha criticità macroscopicamente evidenti anche solo a chi arrivasse dalla vicina Lombardia o leggesse le cronache dei giornali : 4 camini di una Centrale elettrica a 500 metri in linea d’aria da Piazza Cavalli, lo smog della pianura padana, l’acqua con la peggior concentrazione di nitrati… E ancora, dal punto di vista culturale cosa può offrire Piacenza al turista, se non solamente 1 unico giorno di gita (ampiamente sufficiente a visitare la Galleria Ricci Oddi, Palazzo Farnese, le nostre Chiese…o per venire ad assistere ad una serata di buona musica offerta dalle Orchestre Toscanini o Cherubini).
Perché un abitante di Milano dovrebbe trasferirsi con la sua famiglia a Piacenza ? La nostra città dovrebbe offrire elevata qualità della vita, buoni servizi, prestazioni sanitarie ed assistenziali tempestive, tranquillità sociale, offerta diversificata ed abbondante in cultura, tempo libero e sport, buone risposte alle richieste dei giovani.
Perchè un’impresa dovrebbe portare lavoro ed insediarsi a Piacenza ? Al di là della posizione “strategica”, un’azienda cerca infrastrutture, dotazioni, sapere e conoscenze.
E allora per evitare che la “vision” diventi un miraggio, ecco delineate nel nome del pragmatismo le priorità per i due potenziali “clienti” di Piacenza. Per il nuovo residente, una città a misura di persona, meno trafficata ma piu’ fruibile, grazie ad una politica del traffico e del trasporto urbano che concili le esigenze della salute e del lavoro. Una città dove le aree militari ed industriali dismesse vengano recuperate e migliorino l’offerta di residenzialità e servizi. Una città dove la sicurezza sia garantita. Una città dove l’offerta culturale e del tempo libero sia ampia ed abbondante con periodici grandi eventi a livello nazionale. Una città dove, grazie alle eccellenze già acquisite in varie discipline sportive ed alla realizzazione di una grande “cittadella dello sport”, si consenta ai nostri ragazzi di formarsi con lo sport oltre che con lo studio. Per le imprese che volessero insediarsi (e portare lavoro) a Piacenza invece, è necessario offrire infrastrutture viabilistiche (già da molti sottolineate, ed in particolare da Giuseppe Parenti), dotazioni tecnico-strutturali, saperi e conoscenze. In questo senso sono molto importanti i 4 Laboratori locali già realizzati ed avviati in conseguenza del primo “Patto per Piacenza”. Le linee di sviluppo per Piacenza possono quindi nascere da forti investimenti sul fronte infrastrutturale (mobilità su strada, ferrovia, acqua) e tecnico-strutturale, e dalle competenze e dalle esperienze già maturate e presenti sul nostro territorio. Ecco allora il ruolo fondamentale che devono esprimere sia le nostre Università che le imprese leader di settore (meccatronica, edilizia e cemento, agroalimentare ad esempio). Un messaggio che dovrebbe essere lanciato è : “Sappiamo fare bene le cose, venite a farle bene con noi e da noi” Città “aperta” quindi nel favorire l’integrazione e l’adesione, l’inserimento di nuove cittadinanze e di nuove realtà economiche. Integrazione da realizzarsi mantenendo e garantendo però prioritariamente le nostre realtà e identità locali. Il “fare squadra” tanto evocato significa il concorso di volontà ed idee condivise, ma anche tutela del nostro patrimonio. NO alla colonizzazione, NO all’esclusivo sfruttamento del territorio, NO al trasferimento altrove dei centri direzionali, NO alla necessità per i nostri giovani di trovare lavoro altrove. In altre parole, garantire che scendano in campo i giocatori della nostra squadra, e non il sudamericano di turno che arriva e sloggia il giocatore di casa. Questo esempio richiama il gioco del calcio, ma la regola vale anche anche per le nostre imprese e per la nostra gente.
Filiberto Putzu, Consigliere comunale del Comune di Piacenza
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