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Perché serve un nuovo umanesimo a Piacenza

di Dario Squeri

In questi giorni si sono succeduti vari interventi sulle colonne di "Libertà": il dibattito intorno a Piacenza ferve, diversi esponenti di primo piano della vita economica, politica e culturale piacentina hanno auspicato per questa città un futuro più adatto alle esigenze di questo tempo.

Sono convinto che Piacenza stia vivendo un periodo particolarmente difficile della propria storia, e credo a questo proposito che le forze migliori debbano trovare una linea comune per garantirle una guida che possa essere caratterizzata soprattutto da un nuovo umanesimo, fondato sulla condivisione, sulla comprensione dei problemi e delle scelte e sul rapporto con la gente di Piacenza.

Carlo Merli, recentemente, ha auspicato uno sviluppo integrato del territorio, accanto alla necessità di fare sistema; Domenico Ferrari ha definito "angosciante" la dimensione urbana piacentina, sottolineando come lo sviluppo urbano e soprattutto le campagne siano stati oggetto di orribili scempi; Lorenzo Spagnoli ha definito lo sviluppo della città poco adatto alle necessità dei piacentini. Per farla breve, uno sviluppo che non è certamente a misura d'uomo.
Senza dimenticare poi che Mauro Ferrari, in un articolo di particolare interesse, ha manifestato la necessità che Piacenza recuperi linfa e vitalità.

Condivido le posizioni di Spagnoli, Domenico e Mauro Ferrari, perché sono certo che Piacenza debba fare i conti soprattutto con la necessità di recuperare una nuova umanità, venuta meno nel corso di questi anni da scelte politiche e programmatiche che hanno visto prevalere atteggiamenti tecnocratici e poco condivisibili, tali da forzare in modo paradossale l'animus piacentino.

Il modello di sviluppo che è venuto avanti con la Giunta Comunale Reggi, peraltro assecondato da alcuni imprenditori e da alcuni gruppi appartenenti alla classe dirigente, non è certamente in linea con ciò che la città può e dovrebbe esprimere.

Una distanza siderale separa le scelte politiche sul traffico, sullo sviluppo, sulla crescita urbana e sul centro storico dalle necessità reali dei piacentini.

Occorre fare sistema, si è detto più volte, ma che tipo di sistema?
Questo dobbiamo chiederci: un sistema in cui vengano dall'alto posti criteri e modelli per nulla condivisi.
Oppure un sistema che nasce dal confronto, dal dialogo, dalla necessità di capire dal basso le esigenze della gente?

Prendiamo, ad esempio, il centro storico, in una città come la nostra in cui la storia, l'arte, la cultura e il tempo hanno un'importanza a dir poco fondamentale, su un sistema urbano di origine medievale, è stato prodotto a tappe forzate un mutamento obbligato che sta snaturando di per sé il valore del centro, in quanto il piano imposto dalla Giunta Reggi anziché valorizzarne gli aspetti e i contenuti lo relega a vuoto contenitore di uffici, studi e residenze.
Proprio attorno alla natura del centro storico piacentino occorrerebbe fare sistema, nel senso che dovrebbero impegnarsi tutti coloro che vivono e che hanno a cuore le sorti di questo immenso patrimonio storico e culturale.

Allo stesso modo, credo che dovrebbe esservi un coinvolgimento degli attori di questa città per quanto attiene lo sviluppo, il tutto in una prospettiva neo-umanistica, in cui l'aspetto umano e la forza della condivisione prevalgano sugli strappi e sulle lacerazioni, sulla litigiosità e sugli aspetti di frattura che, purtroppo, in questi anni sono prassi comune all'interno della città di Piacenza.

Ben vengano, dunque, interventi come quello di Domenico e Mauro Ferrari e di Lorenzo Spagnoli, i quali auspicano una città più a misura di piacentini, senza uno sviluppo dissennato in cui i piacentini anziché protagonisti sono spettatori passivi.

Non si può, in questi anni 2000, pensare a un modello di sviluppo che non coinvolga la gente, che trovi la propria realizzazione sopra le teste della gente.
Mi chiedo quando mai, in questi anni, c'è stato un confronto serrato su temi importanti quali l'ambiente, il traffico, la cultura, la solidarietà.
Condivido quanto ha scritto il direttore di Libertà nel proprio intervento di fine anno, secondo il quale Piacenza è una città aperta, accogliente, amica e solidale, e perché questi aspetti possano emergere, al di là del coraggio che è elemento indispensabile, occorre dar vita a un nuovo umanesimo, inteso come processo di partecipazione dei cittadini alla vita e alle scelte che vengono effettuate dalla classe dirigente.

A questo proposito, occorre un maggior senso comune, un nuovo senso della città: si tratta di coinvolgere le persone di buona volontà, in particolare le donne e i giovani, ma anche coloro che possono dare una scossa all'attuale governo di Piacenza, una nuova classe dirigente che sia in grado di progettare e di pensare senza mai trascurare l'aspetto umano, la storia, il valore aggiunto che Piacenza può dare in un percorso che veda la partecipazione di tutti, non solo di una élite con forti tendenze tecnocratiche che soffoca e svilisce le potenzialità del territorio e della città di Piacenza.

Basta con lo sviluppo fatto solo di centri commerciali megagalattici, outlet, scatoloni per la logistica: pensiamo invece a uno sviluppo a misura d'uomo, fatto soprattutto di relazioni umane.

Dario Squeri, Presidente Cpe Piacenza Libera


pubblicazione: 17/01/2006

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