E' una reazione cauta quella che arriva “a caldo“ da Arpa l'indomani della notizia choc che un recente documento della Commissione europea sul problema delle polveri fini mette sotto accusa le centrali ambientalizzate, ovvero trasformate a gas metano.
Sarebbero fonte di un inquinamento più subdolo e pericoloso, spandendo polveri finissime, le “cugine killer“ delle Pm 10: le Pm 2,5 o 0,1, particelle materiali che hanno dimensioni di diametro inferiori a 2,5 o 0,1 micron, quindi più penetrabili nei polmoni.
A suffragare la tesi anche uno studio del Cnr di Bologna, firmato dal ricercatore Nicola Armaroli.
Se la tesi fosse confermata, Piacenza si troverebbe in una situazione pesante, con la centrale di “La Casella“ riambientalizzata e quella di Piacenza Levante che lo sarà tra qualche anno. Abbiamo chiesto a Sandro Fabbri, direttore di Arpa, una sua valutazione. Fabbri fa riferimento al passaggio dello studio là dove si parla delle Pm 2,5 come frutto secondario (e non rilevabile ai camini) delle centrali, tra i loro precursori vi sarebbero gli ossidi di azoto, prodotti in gran quantità dalle centrali. Insomma, da studiare sono proprio gli aggregati che si formano come reazioni secondarie da ossidi di azoto, ma allora la preoccupazione si allarga di parecchio: al riscaldamento, al traffico. Diversa la valutazione sulle polveri totali.
Per le attuali conoscenze dei processi di combustione i dati di emissione delle centrali a turbogas («che funzionano come macchine a metano») sono «molto bassi», trascurabili. Gli studi recenti inducono invece ad interrogarsi sui quantitativi di ossido di azoto emessi, padri delle polveri finissime. «Non demonizzerei i processi di riconversione (a ciclo combinato con alimentazione a metano, ndr), sono miglioramenti per la città, tra l'attuale situazione e quella futura, preferisco senz'altro la seconda».
Sotto il punto di vista delle polveri totali l'emissione è quasi nulla («lo abbiamo visto dai controlli fatti a Castelsangiovanni e a Sarmato e quando a Piacenza si va a metano il tasso pubblicato su Internet dei valori inquinanti è molto più basso»).
Ma la questione generale è complessa e dovrà essere approfondita, ammette Fabbri, e per le polveri sottili andranno capiti meglio i meccanismi di formazione. Peraltro, si osserva che lo studio di Armaroli si riferisce ad impianti americani diversi dai nostri, ma resta importante, sul piano nazionale, approfondire le ricerce su questi problemi nuovi per capire i meccanismi di produzione del particolato fine.
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