Un po' teso, inizialmente, certo. Specie davanti a riflettori e telecamere. Eppure, a parlargli subito dopo, nella tranquillità di quello che è stato il suo ufficio in Comune per quattro anni, l'impressione è che, di tutto lo schieramento perdente, il più sollevato sia proprio lui, Gianguido Guidotti. Quasi che, qualunque fosse l'esito della partita elettorale, qualcosa da guadagnare ci sarebbe stata comunque.
In che cosa ci guadagna un sindaco ricandidato e sconfitto? In salute, sicuramente, è la serafica annotazione che l'interessato non si è stancato di ripetere nelle interviste del suo commiato da palazzo Mercanti. Niente più preoccupazioni, angosce addirittura.
In che senso, avvocato? L'angoscia di risolvere i problemi dei cittadini. Quella, da sindaco, l'ho vissuta tutta. Mi dava angoscia perché mi accorgevo di quanto siano lunghi i tempi per arrivare alle soluzioni. E' un aspetto, questo, che sicuramente non rimpiangerò, ne acquisterò in serenità. E in salute. E' stata un'esperienza bella, intensa, ma che ha comportato anche molto sacrificio, molto stress.
E' per questo che non resterà in consiglio comunale? No. Mi dimetterò da consigliere (ma alla prima seduta ci sarò, per rispetto all'istituzione) perché non mi sento di condurre una battaglia politica come capo dell'opposizione. Per quel ruolo occorrono caratteristiche che non ho.
Uno scarto consistente da Reggi, oltre 5mila voti. Se l'aspettava? Dopo le prime proiezioni prevedevo di perdere, ma non di così tanto.
E al nuovo sindaco che cosa vuol dire? Spero si faccia le ossa. Sicuramente non riuscirà a mantenere tutte le promesse della campagna elettorale.
Recriminazioni, avvocato? Ho la coscienza a posto. Credo di lasciare la città in condizioni migliori da come l'ho trovata, di aver amministrato con giustizia ed equità, sforzandomi di essere sindaco di tutti i piacentini e non solo di una parte.
E ritiene di esserci riuscito? Io so solo che ho dato quattro anni della mia vita senza risparmiarmi. Mi inchino alla volontà degli elettori, ma so che potrò continuare ad attraversare questa città a testa alta.
I suoi avversari l'hanno descritta come un sindaco privo di fantasia, di inventiva. L'hanno disturbata certe critiche? Non mi hanno disturbato. Se ti accusano di non avere qualità che non hai... Credo di essere stato me stesso e di avere dato me stesso alla città. Più di questo non avrei saputo che cosa fare.
Secondo l'ex ministro Bersani, lei ha perso anche perché è apparso come troppo condizionato da una coalizione di governo, da persone al suo fianco, non all'altezza. Non mi sento di essere stato condizionato nelle mie scelte. Non in giunta, dove c'è stata sempre omogeneità di giudizi. Certo, in consiglio divergenze di opinioni la maggioranza ne ha avute, e anche su alcuni grandi temi. Ma io ho sempre cercato di applicare il criterio del buon governo della città, indipendentemente dalle parti politiche. E se tornassi indietro rifarei le stesse cose.
La sensazione è che a non essere piaciuto non sia stato tanto lei quanto la sua giunta. Che giudizio dà dei suoi ex assessori? Non mi faccia rispondere a domande come questa...
Allora mi dica che cos'è che non è andato in questa campagna elettorale. Certamente non tutti hanno dato il meglio e il massimo, lo dico con obiettività, anche se non voglio dare pagelle.
Tra i suoi c'è stato chi le ha rinfacciato di non avere fatto campagna elettorale fino al primo turno. Ma non era facile farne una con otto liste diverse che ti sostengono. C'è stato un deficit di unità e la città lo ha percepito.
Pentito di non aver preteso un simbolo unico, una formula che quattro anni fa si rivelò vincente? Se si fosse fatto un simbolo unico della Casa delle Libertà, magari con l'aggiunta solo di una lista civica, allora si sarebbe sicuramente potuto incominciare una campagna elettorale con passo più lungo. Puntandola sul candidato sindaco, oltretutto, come ha fatto giustamente il centrosinistra, mentre da noi si è giocato sulle liste trascurando la figura del candidato.
Ci sarà una resa dei conti tra i suoi? Può darsi, ma io non sono legato a nessuna forza politica e sicuramente non parteciperò a questa resa dei conti.
Anche perché adesso lei si fa da parte e la Casa delle Libertà si trova orfana di un leader. Andrà costruito. Il centrodestra deve attrezzarsi per avere un unico capogruppo, che tra cinque anni diventi anche un ipotetico candidato sindaco. Ma mi sembra presto per pensarci.
Piacenza soffre davvero di un “male oscuro”? In quattro anni da sindaco è riuscito a capirlo? Questa è una città dove la maggior parte dei cittadini si interessa dei problemi solo in coincidenza delle elezioni, dopodiché tutto torna nell'oblio. Sono discontinuità che impediscono visioni organiche dei problemi. E' il male profondo di Piacenza, ci penalizza e forse non capita in altre città.
Può essere più esplicito? Negli Stati Uniti si può eleggere un presidente per un pugno di voti, ma poi tutti sono con lui. A Piacenza non avviene, c'è una separazione polemica continua, che non aiuta a risolvere i problemi.
Un esempio? Si pensi alla privatizzazione di Tesa: l'opposizione ci ha fatto rallentare di un anno con ostacoli infiniti. Ma a che scopo? La città ne è danneggiata. Se c'è una maggioranza che prende una posizione, la minoranza poi si deve adeguare. Quella del Patto per Piacenza è la strada giusta, ma anche lì c'è chi è sempre pronto a criticare.
E' un male inguaribile? Ci vuole un cambiamento di mentalità di tutti. Questo teatrino della politica proprio non mi piace.
Gustavo Roccella, Libertà del giorno 11/6/2002
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