di Marco Elefanti
Un tema ricorrente nel dibattito politico concerne il grado di intervento dello stato nella tutela e nella salvaguardia dei diritti fondamentali dei propri cittadini. L'approfondimento di un tema così rilevante e cruciale impone, in prima approssimazione, la ricerca di risposte a due esigenze di fondo: ·da un lato quella che auspica il rilancio delle sedi della democrazia diretta e rappresentativa chiamate ad effettuare le scelte collettive e quindi a stabilire modalità, tipologia e grado dei diritti da salvaguardare; ·dall'altro lato la verifica dell'esistenza di modalità alternative a quelle della politica e quindi dell'intervento pubblico istituzionale (di particolare attualità con l'affermarsi del principio di sussidiarietà) nel procedere all'identificazione e valutazione dell'ordine delle priorità negli interessi da tutelare e di conseguenza delle risorse da mettere in campo. Il tema assume particolare attualità in quanto i diritti, intesi come interessi giuridicamente protetti e tutelati, esistono oltrechè nella misura in cui l'ordinamento e le regole istituzionali li riconosce e li tutela anche in ragione dell'entità di risorse che il sistema è disposto a devolvere a tale fine. Pertanto la possibilità di una società di garantire e tutelare i diritti dei suoi cittadini è determinata dalla quota di danaro raccolto a carico dei cittadini contribuenti.
E' questa la ragione per cui la libertà, anzi le libertà, dipendono dalle tasse. La sfida della ricerca della salvaguardia dei diritti negativi ( tanto cari ai conservatori che li considerano l'equivalente della tutela giuridica dell'autonomia dei cittadini nei confronti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche) e di quelli positivi (cari invece ai progressisti di ogni tendenza in nome dei diritti sociali che si traducono in pretese giuridicamente tutelate a prestazioni a carico pubblico di varia natura - assistenza sociale e sanitaria, istruzione, lavoro, tutela dell'ambiente) impone la disponibilità di risorse adeguate per garantirne il perseguimento presupponendo la ricerca del più elevato livello di efficienza delle strutture e delle unità chiamate a garantire e ricercare tali tutele.
In questa prospettiva le diverse posizioni di cui è portatrice sia la destra sia la sinistra, sia i conservatori sia i progressisti, sia i liberali, sia i fautori di terze vie e ogni altro orientamento attualmente in voga devono fare i conti con i doveri fondamentali dell'onestà intellettuale. E' infatti necessario abbandonare luoghi comuni e facili e banali slogan, non suffragati da valutazioni e argomentazioni radicate, spesso utili solo a fini di persuazione e di propaganda. Il problema si pone, pertanto, a prescindere dalla convinzione della necessità di privilegiare i diritti negativi quali elementi a garanzia della libertà o i diritti positivi a garanzia dell'uguaglianza. In realtà presupposto di libertà sono entrambi. Da un lato i conservatori e i progressisti si dividono sulle conseguenze di lungo periodo della tutela degli uni e degli altri: i conservatori sostengono che laddove lo Stato garantisce le principali prestazioni sociali la responsabilità individuale possa venir meno, i progressisti ritengono invece che dove i diritti negativi sono tutelati ciò finisca per arricchire i ricchi e le oligarchie economiche compromettendo alla base gli standard fondamentali di uquaglianza e i valori essenziali per la coesione sociale.
In realtà ogni diritto, nessuno escluso, sia fra quelli «ad essere lasciati in pace» (dai cittadini e dallo Stato) sia fra quelli «ad essere aiutati» (dallo Stato, prima che dagli altri), comporta con una valutazione attenta una serie di, più o meno ampi, interventi pubblici, tutti, anche se in maniera diversa, onerosi. Gli esempi sono innumerevoli. Dal diritto di esprimere le proprie idee, ai problemi di tutela della proprietà contro esproprii ingiustificati, per non parlare della tutela contro furti ed evasioni: come si possono realizzare senza il contributo attivo di strutture pubbliche adeguate? Il criterio con cui procedere ad una valutazione dell'opportunità di intervenire o meno nella tutela di un determinato diritto si gioca fondamentalmente sul concetto economico di costo opportunità. I costi alla base delle decisioni di fare o non fare una cosa (quindi di tutelare o non tutelare un diritto) derivano dalle opportunità che si devono sacrificare non potendo farne un'altra (quindi di tutelare un altro diritto). Nessun diritto salvaguardato quindi nella nostra società è gratuito. Quindi anche i diritti negativi, come quelli positivi, richiedono e impongono un effetto redistributivo (lo Stato di diritto, pertanto, essendo proteso a salvaguardare l'esigenza e la volontà di tutelare i diritti, non consente un atteggiamento non interventista). Ne deriva che risulterebbe velleitario, come con molta efficacia sostengono S. Holmes e C. Sunstein nel volume "Il costo dei diritti", non riconoscere l'esistenza di una stretta correlazione tra l'impegno e la rilevanza attribuita dalla società alla salvaguardia dei diritti e quindi delle libertà e il grado di imposizione fiscale cui i cittadini devono sottostare. Marco Elefanti, assessore comunale allo sviluppo economico
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