di MARCELLO SORGI
La strada di un governo Tremonti, o se si preferisce Tremonti-Maroni, vagheggiato a più riprese nel corso della legislatura, ma mai concretizzatosi seriamente, ieri d’improvviso s’è riaperta.
Dopo i risultati a sorpresa delle elezioni amministrative - con Berlusconi sconfitto a Milano, la Lega in calo e in fibrillazione, e i Responsabili in preda al si salvi chi può -, quello di un governo di fine legislatura che punti a una ricostituzione dell’originaria maggioranza di centrodestra, con dentro Casini e Fini, e a una rimonta al Nord, è diventato per il Pdl l’unico rimedio possibile, oltre che il più a portata di mano.
Ci sono tre fattori a favore di questo sbocco.
Il primo è la sconfitta personale e politica del premier. Per quanto i suoi collaboratori più stretti si ostinino a spiegare che Berlusconi, in realtà, ha arginato un risultato negativo che avrebbe potuto essere ben peggiore, sia per il trend europeo che vede in difficoltà tutte le destre al governo, sia per la congiuntura infausta della guerra in Libia e degli scarsi risultati imposti al governo dalla crisi economica, il peso della scommessa perduta su se stesso, e il conto dell’inconcludente politica di ricostruzione della maggioranza, a colpi di singoli transfughi dall’opposizione conquistati a caro prezzo, sono difficili da aggirare. E mettono una seria ipoteca sull’eventualità che il Cavaliere possa correre ancora in futuro per la premiership. Berlusconi naturalmente è il primo a saperlo, e proprio per questo tenterà al ballottaggio il miracolo che non gli è riuscito al primo turno. Sapendo che sarà una corsa solitaria e che forse correrà più solo di altre volte, dato che alleati e avversari scommettono insieme su una sua successiva sconfitta.
Il fattore numero due riguarda il Terzo polo. I leader della neonata alleanza alla prima comune prova elettorale fanno di tutto per nasconderlo, ma non c'è dubbio che il loro consuntivo, in termini di voti, sia stato assai modesto. Casini e l’Udc da soli, stando ai precedenti, in molti casi valevano di più della somma con Fini e Rutelli. I neo-alleati hanno invece centrato l’obiettivo di dimostrare che senza di loro il centrodestra perde. E se a Milano Moratti potrebbe restare a rischio anche riconquistando i terzopolisti, a Napoli questo stesso appoggio diventerebbe decisivo per Lettieri. Nell’una e nell’altra situazione però la confluenza è impedita: a Milano da Berlusconi in persona, che s’è presentato capolista e con cui i finiani è difficile stringano accordi per il ballottaggio, dopo averlo combattuto frontalmente fino all'ultimo. E a Napoli dalla vecchia ruggine tra il vicepresidente del Fli Bocchino e il coordinatore del Pdl Cosentino, che esercita su Lettieri la sua tutela. Così è più probabile che il Terzo polo si metta alla finestra, aspettando di vedere gli effetti del voto amministrativo sul già pericolante equilibrio del governo. Al momento, è l’unico minimo comun denominatore possibile nell’alleanza, ancora incerta, tra le tre componenti centriste, che Berlusconi tenterà tuttavia di dividere.
Il terzo fattore è il risultato del Pd. Come s’è capito ieri dalla prudenza di Bersani e Letta, i leader del centrosinistra sanno di aver vinto, ma anche che l’illusione di stravincere potrebbe rivelarsi perniciosa. Fassino a Torino e Merola a Bologna sono già un buon piazzamento. Incoraggiante anche il voto di lista a Milano, città in cui da tempo era in corso un declino inarrestabile. Pisapia sindaco sarebbe una bandiera, ma di Vendola più che di Bersani. E De Magistris a Napoli, anche per Di Pietro, un boccone duro da mandar giù.
Intanto che il centrosinistra regola i conti al suo interno, quindi, il compito dell’assalto finale a Berlusconi e al suo governo rimane delegato al centrodestra.
da La Stampa del 17 maggio 2011
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