di Roberto Viganò
Perchè quando si parla della società attuale, si scrive e si legge di solito "società civile"? L'espressione "società civile" nasce alla fine del XVIII secolo, tra i filosofi giusnaturalisti.
Lo Jellinek (Dottrina generale dello Stato, 1921) è in dubbio se attribuire la paternità allo scozzese Adam Ferguson (1767) ovvero al tedesco August Ludwig von Schlozer (1794). Essa si contrappone - come prodotto e derivato dello stato di natura, ed in quanto si materializza nello sviluppo dei rapporti economici elementari- alla società politica.
Con Hegel (Lineamenti di filosofia del diritto, 1965) essa costituisce (come antitesi, rispetto alla tesi, individuata nella famiglia) uno degli elementi del processo dialettico, che trova la sua consacreazione nella sintesi, lo Stato. Per Hegel dunque, la società civile è un quid minoris rispetto allo Stato, ma tuttavia non si pone né contro né al di fuori dello Stato. Essa costituisce, come nel processo logico-dialettico dell'idealismo, una fase di transizione verso il raggiungimento della sintesi.
Ad occuparsi recentemente di società civile sono stati Norberto Bobbio(La società civile, in Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, Rorino, 1985) e Natalino Irti (Società civile, Milano 1992). In tali autori l'espressione può assumere - tra gli altri- anche un significato del tutto nuovo, come luogo dei movimenti, delle domande nuove ed impreviste, dei contropoteri (quindi in una dimensione socialmente anti-statale). Il nostro variegato mondo conosce dunque i diversi aspetti nei quali può connotarsi la fortunata formula.
Da qui nasce l'equivocità del termine, che non è neppure sminuita dalla sostanziale identità di significato fra le parole polis (greca, cioè "città", nel senso di comunità cittadina ; dal termine deriva come è noto, "politica") e civitas (latina, cioè "comunità cittadina", da cui l'aggettivo "civile", il sostantivo "civiltà", etc) : in sostanza i termini si equivalgono, a dimostrare una comune origine.
Ma poi sono i movimenti di pensiero, i modi di vivere, le esigenze economiche, le leggi, e perchè no? anche gli strumenti di informazione, a coprire di significati antinomici i concetti, che quando nascono sono limpidi come le acque di sorgente e man mano che scendono a valle si inquinano. Tutto, dunque, e il contrario di tutto.
Che cosa si intende oggi per società civile ? Certamente i cittadini (e non solo : fra costoro comprenderei anche chi risiede, ma non ha la cittadinanza italiana), ma organizzati in gruppi di opinione o di pressione, che svolgano una qualsiasi funzione tendente alla formazione, sviluppo, partecipazione della società in cui vivono, per il raggiungimento di obiettivi complementari a quelli che la società politica è destinata, istituzionalmente, a dare.
Non sono piccoli, né insignificanti (anche se eterogenei) i compiti della società civile. Ma perchè vi sia utilità generale, occorre -seguendo il pensiero hegeliano, sul punto assai lungimirante- che il dialogo fra la società politica (e cosiddette istituzioni) e la società civile sia condotto alla ricerca della sintesi, vale a dire non sia sterilmente impostato con voci che si sovrappongono in maniera becera (come non di rado accade nei dibattiti televisivi), e che miri alla comprensione (e alla soluzione) dei problemi anche ascoltando, e traendo frutto dai suggerimenti altrui, anche se provengono da persone che la pensano diversamente da noi.
Società civile vuol dire anche rispetto della opinione altrui, vuol dire collaborazione per il bene generale, vuol dire osservanza delle leggi e sforzo per produrne delle migliori. Vuol dire anche solidarietà verso i piu' sfortunati e verso i piu' deboli.
Con tali premesse la società civile non è altro che lo strumento per offrire protezione, ampia e senza compromessi, a tutti coloro che ne fanno parte, cioè i cittadini, cioè noi stessi.
Roberto Viganò, Docente di Diritto nella Facoltà di Economia dell'Università di Verona.
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