di LUCIA ANNUNZIATA
Il volto insanguinato, sorpreso e spaventato del premier Silvio Berlusconi rimarrà un’icona nella storia di questa Repubblica.
Chiunque lo abbia colpito non ha nessuna, e val la pena di ripetere, nessuna giustificazione.
Né di quelle che si sono immediatamente sentite: che è stato lui, il premier, ad aizzare la folla, gridando pochi minuti prima «vergogna, vergogna» a chi lo fischiava - come sostiene Di Pietro -, né di quelle che ci potrà offrire la cronaca sullo squilibrio mentale dell’assalitore. Ieri sera a Piazza del Duomo è stata, in ogni caso, passata una soglia.
E’ stato violato il corpo del premier, e qualunque sia l’opinione sulla sua politica, questa violazione costituisce un attacco diretto, fisico, materiale, alla sua carica.
In questo senso è un attacco alle istituzioni, e come tale va giudicato: un nuovo strappo dei molti che stanno disfacendo il corpo della Repubblica.
In questo senso, è un passo senza ritorno - senza se e senza ma - che anticipa, fa intravedere quanto facilmente l’attuale infiammata situazione possa piegare verso lo scontro fisico.
Del resto è questa la preoccupazione che sembra motivare l’immediato richiamo del Presidente della Repubblica che ha fatto appello a «stroncare ogni impulso e spirale di violenza», usando quelle parole «spirale di violenza» che tante volte abbiamo già sentito negli anni più bui del Paese.
Lo schieramento politico tutto, il governo e l’opposizione, hanno la responsabilità nelle prossime ore di decidere che piega prenderanno ora gli eventi. Al di là della solidarietà, che consideriamo obbligatoria, la vera questione che va ora posta sul tavolo è se davvero la pratica dell’opposizione si sia tramutata in una campagna di odio.
Il premier lo ha sempre sostenuto in questi ultimi mesi e lo ha ripetuto proprio nel comizio milanese.
Ora, dopo l’attacco, tutto sembra dargli ragione.
Si avvarrà di questa prova per farsi forza nello scontro, per alzare di tono le polemiche, o vi troverà, come lo spavento nei suoi occhi raccontava, una sorta di buona ragione per rasserenare il clima prima che gli avvenimenti comincino a correre? Questa è la scelta che ha di fronte Silvio Berlusconi.
Peggiore è invece la posizione dell’opposizione. Comunque lo si guardi, anche se si dovesse trattare di una persona squilibrata, l’attacco è figlio di un clima di esasperazione dei conflitti? Il centrosinistra si sente in parte responsabile dell’attuale clima, pensa di aver sbagliato qualcosa, o, al contrario, scrollerà le spalle addossando anche questo episodio a Berlusconi, o derubricando l’intero episodio a un dettaglio?
Per l’opposizione, sono domande complicate perché sono già presenti, sia pur in altre forme, nel suo dibattito interno, e già si sono rivelate molto laceranti. Basta ricordare la tensione provocata la settimana scorsa dal semplice rifiuto di Bersani di aderire in forma ufficiale all’anti-Berlusconi day.
Ora che il pericolo di violenza si è materializzato, la discussione su come si combatte il governo dovrebbe invece assumere dei contorni ben più precisi: cambiare molte parole e moduli fin qui usati, rompere con ogni personalizzazione e concentrarsi completamente sugli aspetti politici dello scontro.
Saprà o potrà farlo il Pd che già ora è incalzato da un settore politico come quello di Di Pietro, che dell’antiberlusconismo ha fatto la sua unica piattaforma?
Questa è la scelta di fronte a cui si trova il Partito democratico.
E tuttavia non è una scelta impossibile. Silvio Berlusconi è oggi un avversario meno forte di quel che lui stesso sostiene.
L’aggressore lo ha colpito proprio alla fine di un comizio che tutto è stato meno che un «predellino 2», cioè un rilancio e un rinnovamento della sua leadership.
Anzi, il comizio di Milano è apparso soprattutto mirato a rassicurare un elettorato probabilmente confuso dalle tensioni interne.
Il nuovo segretario del Pd, proprio nel rifiuto di aggregarsi al No Berlusconi Day, ha già dato una prima indicazione della identità tutta politica che vuole dare all’organizzazione.
Del resto, Bersani e buona parte dell’attuale gruppo dirigente del Partito democratico vengono direttamente dalle file di quel Pci che negli anni bui non temette di stare accanto al suo avversario storico, la Dc, per fermare il terrorismo. Ora non siamo affatto nell’emergenza di allora. Ma, oggi come allora, il perno della politica rimane il principio che la governabilità di un Paese dipende dall’assumersi responsabilità. Anche da parte di chi è all’opposizione.
La Stampa del 14 dicembre 2009
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