L'inaugurazione dell'impianto (primo esempio di partnership pubblico-privata in Italia) dopo un'attesa iniziata nel 1996. «Rifiuti, addio emergenza per 25 anni». «Inceneritore punto di partenza: ma la “differenziata” deve crescere». da LIBERTA' del 10/12/2002
Nel freddo acuto del primo vero mattino d'inverno, la colonna alta e stretta dei nostri rifiuti, impilati in una profonda fossa di cemento, assomiglia ad una dolomite. E' una montagna grigiastra, rocciosa alla prima occhiata e invece friabile non appena la benna potente cala dall'alto - guidata dall'operatore di macchina - per pescare l'immondizia e avviarla al forno. Evoca immagini dantesche, così come la bocca di fuoco che si intravede dai monitor di controllo della sala-regia. L'altra faccia del benessere è scomoda e perturbante per chiunque si affacci alla vetrata panoramica sulla fossa dell'inceneritore (volti impressionati, sensi di colpa, ieri, alle prime visite). Fa male leggere in quell'impasto sacchetti del supermarket stracolmi, minestroni di stracci, caroselli di rottamaglie che sforniamo quotidianamente (1,5 chili a testa). Forme appena riconoscibili, già sconciate, da ridurre in cenere. E' questa l'immagine che resta negli occhi del nuovo inceneritore di Piacenza, molto più dell'involucro esterno: un conglomerato di “scatole” blu e giallino ocra, quasi un Lego, che fa da sfondo al Capitolo e su cui svetta il camino di un azzurro pallido che vuole confondersi con il cielo (mutuato dall'esempio di Brescia). Ad un estremo dell'impianto c'è la hall dove entrano i camion che versano rifiuti nella fossa, dall'altro c'è l'ingresso ufficiale in mattoni, con tanto di piscina intorno (e pesci rossi). E' un po' diverso dal disegno originale dell'architetto Carlo Ponzini, che prevedeva una forma morbida ad evocare le colline e una quinta ad evocare le Mura farnesiane. Alla fine si è risparmiato. Ma l'aspetto conta poco, conta la funzione.
E ieri, dal momento in cui il sindaco Reggi ha tagliato il nastro e il sacerdote ha benedetto l'impianto, la funzione di questo “spazzino” tecnologico è stata sviscerata da autorità ed esperti. Con corredo di protesta degli ambientalisti (pende un ricorso al Tar) sulle scalinate della Cattolica: temono il peggio e sventolano uno striscione dove dai rifiuti non nasce un fiore (secondo lo slogan di Tesa “Da cosa nasce cosa”) ma viene esalata una nuvola scura. E proprio il sindaco Reggi ha ricordato come l'impianto venga da lontano e abbia avuto vita difficile («fortemente voluto dal sindaco Vaciago, fu pagato politicamente ed ebbe una forte opposizione da parte degli abitanti, poi fu continuato da Guidotti»). «Invece era indispensabile - valuta Reggi - uscire dalla logica moralmente inaccettabile di portare i rifiuti altrove e a caro prezzo». L'inceneritore oggi c'è «ma non potrà né dovrà essere l'unico strumento - ripete Paolo Passoni, amministratore di Tecnoborgo che ha costruito l'impianto - occorre potenziare la raccolta differenziata e diminuire la produzione di rifiuti». Poi, i ringraziamenti per i compagni di strada di quest'impresa, primo caso di riuscita collaborazione pubblico-privata in un Paese che ha sessanta inceneritori tutti pubblici, e il presidente in carica di Tesa, Guido Ramonda cita chi lo ha preceduto: Giuseppe Sverzellati, Lino Girometta. «L'impianto ora ci offre una soluzione, una risposta almeno per i venticinque anni a venire». Patrizia Soffientini patrizia.soffientini@liberta.it
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