di Antonella Lenti
La politica, prima o poi, dovrebbe svoltare. Non ci sono più appelli utili. Non si tratta di svolte direzionali del tipo destra, sinistra o centro che è andato molto citato in questa prova elettorale difficile, lunga, tra le più aspre che ci si ricordi da quando è in vigore la legge sull'elezione diretta, del sindaco e del presidente della Provincia. Il processo di cui si parla è ancora più a monte delle scelte politiche che si traducono poi in uno schema progettuale per amministrare e per governare un ente, un territorio. Si tratta di una svolta di stile. Anche questa elezione ci consegna un risultato che, come già quello che portò Reggi nel 2002 a sindaco del Comune di Piacenza, fa pensare. E' come se dai cittadini venisse una domanda precisa: «Voi che vi proponente di governarci, fateci capire quanto ci siete vicini, quanto non è solo una costruzione mediatica la vostra apparente autenticità». Si dirà, già qualcuno lo ha fatto nel corso della campagna elettorale, che parlare di preminenza della società civile sulla forza dei partiti è quanto di più impolitico ci possa essere. Una divaricazione che non aiuta il processo di maturazione dello schema democratico. Può essere così se a prevalere fossero solo egoismi settoriali e localistici. Ma c'è qualcosa di più che ci trasmette la realtà politica di questi anni, messaggio che ci è stato consegnato anche dal risultato del voto 2004. Da un po' di tempo a questa parte i sensori della politica dei partiti hanno perduto la capacità di percezione necessari per anticipare quello che avviene intorno. Nei tessuti connettivi di una società molto stratificata, ma allo stesso tempo comunicante. Anche il voto piacentino delle Provinciali ha riportato in prima linea un male endemico: la difficoltà di dialogo autentico con chi, alla politica, vorrebbe assegnare il ruolo di capire in anticipo i bisogni e trovare di conseguenza le soluzioni più giuste per far progredire una città piuttosto che una regione o uno stato. A Piacenza, città ibrida per tradizione, cultura, storia e collocazione politica rispetto al contesto emiliano questo risulta essere ancora più vero. Ancora una volta, i dati elettorali lo confermano, ha avuto ragione chi ha spinto l'acceleratore sulla candidatura di una persona atipica rispetto allo schema classico della politica nostrana. Una persona pressoché sconosciuta nella maggior parte del territorio provinciale in competizione con una figura politica forte come l'onorevole Tommaso Foti che a Piacenza ha già incassato due elezioni al parlamento italiano e un risultato prestigioso in preferenze per le Comunali del 98 e che oggi perde in misura maggiore proprio in città. Spedito un messaggio chiaro - l'ennesimo - all'indirizzo dei partiti che però restano molto refrattari a comprenderlo: «apritevi di più verso la società civile, non per farvi sostituire, ma per crescere e uscire dal limbo dell'autoreferenzialità». Se questo è un leit motiv incompreso che percorre la storia elettorale piacentina ci sono alcuni altri argomenti su cui soffermarsi. Si è fatta leva sul valore dell'unità delle forze che si riconoscono nel progetto dell'Ulivo allargato a Rifondazione. Stessa elaborazione, ma come recriminazione per non averla praticata subito, viene avanti ora nel centrodestra dove, tra le motivazioni di una sconfitta del tutto inaspettata dalle stesse forze politiche concorrenti, viene portata la mancanza di unità della Casa delle libertà. Ma c'è dell'altro. Fattore imprevisto e imprevedibile il caso Squeri entrato nelle elezioni e determinando quasi un ballottaggio a tre. Un effetto la vicenda l'ha prodotto. In primo luogo sull'affluenza al voto dal centrosinistra che ha avvertito la chiamata dopo l'appello al voto per il centrodestra dell'ex presidente della Provincia. Più alta del 1999 quando il centrosinistra si alleò con la Lega nord che assicurò la vittoria a Squeri, ma non ha garantito Foti. E', tra i tanti, uno degli elementi di riflessione che apre uno spazio di conflittualità nella Casa delle libertà. E, come nell'Ulivo, anche qui alberga una questione di centro che se si poteva pensare essere marginale dopo la scelta di un candidato portatore di una cultura di destra, è stata poi cavalcata non appena sentito lo start di Squeri. Neppure il centrosinistra con la vittoria in pugno, sarà indenne dal vivisezionare la classe dirigente dai Ds alla Margherita. Le divisioni sulla candidatura, la debacle dei Ds in una roccaforte come la Valtidone non è cosa da poco. Ma è la Margherita il segmento più debole. Per due motivi. Per un problema di competizione con la sinistra nell'Ulivo dopo un risultato che non ha dato soddisfazione e per le lotte intestine che, per certi versi, ripropongono le vecchie divisioni dello scudo crociato. A quel bagaglio culturale cioè che i moderati del centrosinistra fanno fatica a far confluire in un progetto politico futuro, si aggiungono anche le difficoltà introdotte da una pretesa ricomposizione del centro politico con un'operazione che non fruttò risultati brillanti dieci anni fa a un leader come Mino Martinazzoli.
|