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Il Cavaliere versione Santanchè tradisce il partito Mediaset

Adesso tutti dicono che si doveva fermarla in tempo, non sottovalutarla, capire subito che aveva trovato la chiave per entrare nel cuore del Cav.
Sì, perché i ministri «dimissionati», rappresentano l’ultima, fatale vittoria della «Pitonessa» Daniela Santanchè sul Pdl.
Un partito sconvolto da due mesi per la condanna definitiva del proprio leader, oltre al rischio che di qui a poco possa finire arrestato, dopo l’espulsione dal Parlamento che il Senato si accinge a votare.
E terremotato dal repentino cambio di strategia del Cavaliere, che fino a venerdì sera diceva a tutti «non voglio la crisi», e subito dopo ha affondato il governo.

Ieri mattina, a un amico che l’aveva chiamata per chiederle se davvero, dopo le dimissioni dei parlamentari, il centrodestra avesse di nuovo fatto marcia indietro, la Santanchè rispondeva: «Non è vero. Non hanno capito niente. Lui ha deciso una settimana fa e me l’ha detto. Vado a pranzo ad Arcore e nel pomeriggio, vedrai, ci saranno novità».
A tavola con il Cavaliere c’era anche Denis Verdini, l’unico che dal primo momento è sempre stato con lei.
La dichiarazione con cui Berlusconi ha colto di sorpresa mezzo Pdl è nata così, come il punto d’arrivo di un discorso che dal primo agosto ad oggi la Santanchè avrà ripetuto mille volte al suo leader. «Non fidarti di loro, tanto hanno già deciso di farti fuori. E non fidarti nemmeno dei nostri che ti dicono che li convinceranno. Tanto non ce la fanno».

Una profezia così semplice, fatta di pochi argomenti, come piace a lui, Berlusconi l’ha vista avverarsi giorno dopo giorno, in questa che considera la peggiore estate della sua vita. Invece della prescrizione, con cui si era salvato molte volte in passato, dalla Cassazione è arrivata la condanna. Al posto del «salvacondotto» in cui tanto aveva sperato, la nota del Quirinale che a Ferragosto confermava l’obbligo di scontare la pena.
Di lì in poi Berlusconi ha cominciato ad angosciarsi, a sentire un sordo risentimento e a non fidarsi più di nessuno. La conseguenza di questo stato d’animo, una forma di depressione in un uomo che ha sempre reagito alle difficoltà con il piglio del guerriero, è stata, da una parte, la scelta della solitudine, e dall’altra la completa scomposizione del vecchio gruppo dirigente di sempre.

Attorno a lui, capo assoluto di un partito personale, c’era infatti una sorta di gerarchia non scritta, con Gianni Letta numero due, Fedele Confalonieri al terzo posto, Ennio Doris e Bruno Ermolli ai gradini immediatamente successivi e poi tutti i dirigenti e gli ex ministri del Pdl, più o meno a pari merito.
È esattamente questo stato maggiore che la condanna di Berlusconi ha cancellato, lasciando il leader solo con i suoi familiari proprio come il condannato che aspetta l’esecuzione, e aprendo il varco in cui la Pitonessa s’è infilata. Chi l’ha vista arrivare da Forte dei Marmi tutti i giorni - non ne ha mancato uno, ad agosto, a volte con due turni di autisti - non riusciva immaginare che la sua frequentazione e predicazione quotidiana sarebbero riusciti a scuotere il leader dall’abulia con cui rispondeva al telefono a tutti quelli che dal partito lo chiamavano, per cercare di tirarlo su. Ma la Pitonessa spiegava a tutti che non c’era alcun bisogno di convincerlo perché lui era già convinto di suo, e stufo semmai di chi insisteva a raccomandargli prudenza. Il 24 agosto, quando Berlusconi, dopo aver convocato un vertice ad Arcore aveva lanciato un nuovo ultimatum, s’era già capito che aveva ragione lei.

Ora che è accaduto l’irreparabile, per la prima volta nel Pdl si discute.
Il lungo braccio di ferro tra «falchi» e «colombe» s’è combattuto fino alla vigilia della crisi, e venerdì sera, malgrado la tensione in consiglio dei ministri, sembrava che ci fossero ancora dei margini per evitare la rottura.
L’accelerazione degli ultimi giorni, con le inaudite dimissioni di massa dei parlamentari, aveva visto in aperto dissenso il ministro Gaetano Quagliariello, e accanto a lui, in qualità di frenatori, il vicepresidente del consiglio Angelino Alfano e il responsabile dei Trasporti Maurizio Lupi.
Sono stati loro, ieri, prima di adeguarsi formalmente alla decisione del capo, a dire chiaro e tondo a Berlusconi che la crisi rischiava di trasformarsi in un salto nel buio, mentre Fabrizio Cicchitto protestava apertamente per la mancata consultazione dei capigruppo e del gruppo dirigente. Qualcuno, con la dovuta cautela, s’è spinto a dire che anche i timori espressi da Marina Berlusconi per la situazione del Paese vanno inquadrati nel campo delle perplessità. Non è così, ma è un fatto che la figlia del leader in queste settimane ha giocato nel campo delle colombe. E che per quattro o cinque esponenti di prima linea del Pdl che parlano, ce ne sono altri che mugugnano in silenzio sulla scelta di far saltare il banco e puntare sulle elezioni anticipate.

Così, tra le pieghe della crisi, ha preso corpo una partita interna che rappresenta un’assoluta novità per il partito padronale del Cavaliere. Una sorta di secondo tempo, che punta a capovolgere la conclusione disastrosa del primo. Non per rompere con Berlusconi e dare via libera a un Letta-bis, come sotto sotto si augurano gli amici del premier. Ma per convincerlo a tornare sui suoi passi, e a non precipitare nel baratro, in cui rischia di trascinare dietro di sé il governo e il Paese.

Marcello Sorgi
www.lastampa.it 29/09/2013


pubblicazione: 29/09/2013

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