FABIO MARTINI ROMA Li chiamano gli irriducibili, come quei giapponesi che alla fine della seconda guerra mondiale non ne volevano sapere di arrendersi. Perfidie azzurre, anche la monoteista Forza Italia ogni tanto se ne concede. Ma è pur vero che loro quattro - Fabrizio Cicchitto, Paolo Bonaiuti, Renato Schifani, Elio Vito - e poi tanti altri nelle retrovie, sono affezionati a Forza Italia quasi quanto al loro capo, Silvio Berlusconi. E sembrava alludere proprio agli irriducibili l’ex presidente del Senato Marcello Pera, quando ha scritto su «La Stampa»: «Oggi tantissima gente, soprattutto giovani, avverte il bisogno di impegnarsi in politica», «ma non trova spazio perché una legge sociologica ferrea dice che le burocrazie - qualunque cosa facciano, dalla politica ai bolli sugli atti - la vogliono fare da sole».
Come dire, Forza Italia è pronta ad aprire le sue porte, persino a costruire una nuova casa, ma ci sono i pretoriani che presidiano le mura, attenti come sono a preservare se stessi. Certo, personaggi come il vicecoordinatore Cicchitto, il portavoce Bonaiuti e i due capigruppo parlamentari Schifani e Vito hanno un ruolo da difendere e se Forza Italia un domani non ci fosse più, quasi certamente loro dovrebbero reinventarsi una vita. Intendiamoci, non è detto che non ne sarebbero capaci. Non solo perché sono personaggi coriacei, che hanno faticato per conquistarsi un posto al sole azzurro. Ma soprattutto perché l’impresa di cambiar vita gli è riuscita già una volta: nessuno dei quattro difensori della purezza di Forza Italia appartiene alla cerchia della «prima ora», per capirsi quella che nel 1993-94 partecipò alla fase carbonara e poi eroica di Forza Italia, gente come Marcello Dell’Utri, Gianni Letta, Giuliano Urbani, Antonio Martino, Cesare Previti.
I quattro irriducibili sono tutti arrivati a cose fatte. Il romano Fabrizio Cicchitto, durante la Prima Repubblica è uomo di punta della sinistra lombardiana, la corrente «pura e dura» del Psi che per molti anni non entrò al governo per distinguersi dal resto del partito. E se nel Psi l’ascesa si interrompe appena il suo nome viene scoperto nelle liste della P2 di Licio Gelli, Cicchitto riaffiora soltanto alla fine degli anni Novanta, quando approda in Forza Italia. Dove inizia una graduale scalata, fino a diventare vice-coordinatore di Forza Italia, una sorta di «numero cinque» nella gerarchia interna, dietro il presidente Silvio Berlusconi, il vicepresidente Giulio Tremonti, il portavoce Paolo Bonaiuti e il coordinatore Sandro Bondi. Certo, nei mesi scorsi Cicchitto è stato tra gli irriducibili nel contrastare l’ascesa della signora Brambilla, ma dopo averci rimuginato 48 ore, ieri è uscito allo scoperto con una dichiarazione soft.
E un altro che non c’era nella primissima ora (anche se è stato tra i primi ad arrivare) è il napoletano Elio Vito, attuale presidente del gruppo di Forza Italia alla Camera. Figlio di un ferramenta di Fuorigrotta, Vito da giovane è radicale ed è in quella scuola (e in quella del consiglio comunale di Napoli), che apprende l’arte del cavillo regolamentare («Avevo trovato in un comma il modo di far saltare l’ordine del giorno») e si guadagna il soprannome «a’ murena», il pesce che se affonda i denti, non molla. Come dice lui: «Non sono aggressivo, sono accanito». Per ora non è uscito allo scoperto, ma lui - come il presidente dei senatori Renato Schifani, un ex democristiano, entrato in Parlamento nel 1996 - non ha mai tradito simpatia per i circoli della Brambilla.
Sentimento condiviso anche da Paolo Bonaiuti che, dopo una carriera da giornalista (inviato al «Giorno» e condirettore al «Messaggero»), è entrato in Forza Italia nel 1996. Per cinque anni portavoce di Berlusconi a palazzo Chigi, da quando Forza Italia è all’opposizione Bonaiuti si è reinventato un ruolo. Mentre prima i Tg rilanciavano le sue dichiarazioni attraverso il mezzobusto di turno (e la foto di Bonaiuti alle spalle), ora il portavoce del Cavaliere ci ha preso gusto e spesso le sue dichiarazioni in voce sono uno dei pezzi forti dell’immutabile «pastone» di tutti i Tg.
E Sandro Bondi? Chi più del coordinatore di Forza Italia dovrebbe difendere il simbolo delle origini? E invece, qualche tempo fa, con la gentile imprevedibiltà che fa parte del personaggio, Bondi ha dedicato alla Brambilla una poesia su «Vanity Fair». Una cosa è certa: il dibattito che da 48 ore si è aperto sul Partito della libertà sta già scompaginando i giochi dentro Forza Italia.
È già apparsa la corrente dei «nuovisti» - in prima linea un personaggio considerato d’apparato come Claudio Scajola e un outsider come Marcello Pera - mentre si ingrossa la schiera di chi si mette alla finestra. Come Beppe Pisanu: «Gradirei non dir nulla - dice l’ex ministro dell’Interno dalla sua villeggiatura - a parlare di queste cose si rischia di entrare in dispute un po’ da cortile. E io non ci voglio entrare».
(da La Stampa del 21 agosto 2007, http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200708articoli/24934girata.asp )
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