Era meglio regalare il tostapane placcato oro? (Anni Ottanta). Avere la borsa di coccodrillo-quasi-vivo? (Anni Novanta). La saunapalestra in casa? Forse era meglio, perché di sicuro non eravamo depressi come oggi: anche il Censis ammette che abbiamo perso l'entusiasmo, padre biologico dell'acquisto d'impulso.
Daniela Ostidich, sociologa dei consumi, racconta che nel corso di una ricerca per Centromarca in tre grandi città (Milano, Roma e Napoli) il 40 per cento degli intervistati ha detto basta al superfluo, letteralmente «alle puttanate».
Soltanto acquisti sensati. Perciò gli status symbol negli anni della crisi sono diversi, ecumenici e all'apparenza meno frivoli, come sostiene Carlo Meo, autore del saggio «Vintage Marketing».
Oggi giorno c'è chi per mestiere cerca nuovi miti e rispolvera quelli vecchi (il chinotto, l'Ape Piaggio, il panettone come una volta), ma le correnti del gusto si sono spostate. Nel presente degli italiani ci sono scelte più concrete (utili, non si sa). La macchinetta del caffè per esempio, un mercato che negli ultimi tre anni vale quasi un milione di pezzi. Lavazza ne ha vendute 300 mila dal 2007, ma ci sono anche Nespresso e Illy in forte crescita.
Altro boom, Brita (e i suoi cloni), la caraffa filtrante che oltre al risparmio esprime una coscienza ambientale. Questa sì che è acqua a chilometro zero. È un caso da manuale: crescita del 150 per cento nel 2009 e del 50 nel 2010. 90 mila caraffe vendute a oggi. L'aspetto della fedeltà si vede nell'acquisto dei filtri (750 mila): la media italiana è la più alta d'Europa. Motivazione? Non solo il risparmio, ma il bisogno di semplificarsi la vita.
Poi c'è la macchina per fare il pane, altro oggetto del cocooning casalingo che ha creato - ma è un'illusione- 200 mila fornai (nei blog troverete le avventure di chi ha messo nell'impasto troppo o poco lievito). Spiega Jacopo Valli, psicoterapeuta che si occupa di mode e comportamenti sociali: «Preparare il pane in casa è un gesto altamente simbolico. Rappresenta la manualità, il passato, le radici, ma nello stesso tempo è un segno di chiusura nei confronti di un mondo che ci fa paura».
Uno spazio a sé è quello della tecnologia. Il piccolo popolo dell'iPad è già un'élite. Ma quali sono i libri più scaricati? A sorpresa, con tre titoli su dieci vincono le storie di Geronimo Stilton, il topo detective che mette d'accordo genitori e figli, fiabe e hi-tech. Numeri piccoli (2500 copie) ma in poche settimane.
Lo status symbol è anche arrivare prima degli altri. Perciò non basta avere un hi-fi di ultima generazione quando il Financial Times definisce il Geneva Model S «un oggetto magico», l'impianto più potente in soli 23 centimetri.
Non basta essere connessi. Per esserlo sempre bisogna portarsi dietro il router E5 Huawei che genera una meravigliosa bolla wi-fi. «Ma nel desiderio di entrare in relazione con gli altri - spiega Valli - emerge la solitudine. Ci illudiamo di partecipare a una festa virtuale con 5000 amici e invece siamo davanti a un computer».
Intanto la crisi sta riscrivendo le priorità e ridisegnando la scala del superfluo. I bijoux prendono disinvoltamente il posto dei gioielli e il mercato cresce del 14 per cento. Quest'anno va il ciondolo-lente di ingrandimento di Maria Calderara, utile, volendo, per leggere meglio il menù al ristorante, ma non c'è limite alle possibilità.
Fiori congelati, resine, copie di collane delle maharani, purché sotto i cento euro. «I gioielli sono come i mariti, i bijoux come gli amanti», sentenziava Marilyn.
Ma nel pacchetto degli status symbol c'è anche la bontà: tre italiani su cinque hanno comprato una borsa di recupero o una maglietta ricavata da bottiglie di plastica («per lenire i sensi di colpa», accusa Jacopo Valli). Un gesto che unisce principi e poveri. Rania di Giordania si è portata a palazzo una delle borsette di Ottavia Failla, signora siciliana che dà lavoro alle sartine rurali nell'agro modicano. Chi le compra, compra la storia che c'è dietro. Anche questo è uno status symbol.
ROSELINA SALEMI La Stampa del 4 dicembre 2010
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