di Mino Fuccillo
Molti tifano per Marco Follini, dentro e fuori le tavole imbandite di Palazzo Chigi. Tifa perché una quota consistente dei soldi pubblici vada a sostenere l'innovazione e la ricerca e perché gran parte dello sgravio fiscale abbatta l'Irap e non l'Irpef Montezemolo e con lui quasi tutta l'industria, ormai anche quella del Nord-Est. Tifa perché lo sforzo finanziario vada a sostegno dei redditi, salari e stipendi, Pezzotta e con lui tutta la Cisl e la Uil e, senza dirlo, anche una metà abbondante della Cgil, con l'esclusione della Fiom. Tifano per Follini i pubblici dipendenti i cui rinnovi contrattuali sono a rischio. I sindaci e le amministrazioni locali, soprattutto del Sud. Tifa per Follini il governatore di Bankitalia Fazio che del far di conto di Berlusconi non si fida. Tifano per Follini gli economisti che hanno già calcolato quel che nessuno oggi calcola: i costi finanziari della devolution, cioè della moltiplicazione per venti degli apparati statali. E le agenzie internazionali che hanno tra i loro clienti chi ha investito in Italia e in titoli italiani. Tifano per Follini Alemanno e Storace che tremano all'idea di una politica economica che sia choc fiscale e poi ognuno per sé e dio per tutti. In cuor suo tifa per Follini anche Carlo Azeglio Ciampi che ha visto il berlusconismo smontare la sua politica economica. Tifano insomma per Follini insieme il partito del rigore e quello della spesa, sono in tanti e diversi, uniti per l'occasione dall'angoscia dell'azzardo del capo del governo. Ma è un tifo, un sostegno che può servire a Follini solo a futura memoria, è un tifo all'insegna dell'«Abbiamo vinto» oppure «Hai perso». I suoi molti tifosi non possono o non vogliono scendere in battaglia aperta. Per averli davvero con sé, per fare con loro davvero squadra, Follini dovrebbe prima vincere. Ma può vincere Follini, può imporre una politica economica alternativa a quella di Berlusconi e un federalismo non ideologico e potenzialmente scissionista, quello che la Lega non sopporta? Potrebbe vincere passando attraverso il cammino di fuoco e di ferro di un appoggio esterno al governo, quindi di una crisi, quindi di elezioni, quindi di una sconfitta di Berlusconi. Può vincere e avrà vinto solo se e quando Berlusconi non sarà più al comando. Allora e solo allora potrebbe coagulare interessi e forze che oggi non possono dargli altro che simpatia. Per vincere, anzi per provare a vincere, Follini dovrebbe mettere in bilancio anni da leone. Oppure può conoscere prossimi giorni da pecora, essere ricondotto all'ovile dove troverà riparo a cibo nello stretto recinto della Casa delle libertà. Chinare la testa, accettare e sottoscrivere tutto, disperdere oltre che deludere le simpatie dell'oggi. Difficile che lo faccia. Più probabilmente Follini sceglierà o sarà costretto a vivere mesi da orsacchiotto. Si opporrà, senza riuscire a fermarla, alla devolution che scioglie le membra e squaglia le finanze dello Stato italiano. Abbasserà di qualche tacca il voltaggio dell'elettrochoc fiscale ma non riuscirà a staccare né gli elettrodi apposti sulla società né la spina attaccata al bilancio. Forse otterrà anche che a sostituire Tremonti non vada un «tecnico» promosso ministro in cambio dell'impegno tacito a far da ventriloquo a Berlusconi. Forse Follini otterrà un ministro vero, ma non certo la riscrittura del programma economico come dimostrano le ipotesi di accordo sulla nuova Irpef. E potrebbe perfino ottenere una vittoria di bandiera da sventolare in Rai. Ma alla fine, sommando il tutto, Follini testimonierà che un'alternativa moderata e conservatrice a Berlusconi è potenzialmente possibile ma che non si può fare, oggi no, domani chissà. Verrà per questo lodato dal sempre paziente Gianni Letta, congratulato da Buttiglione e Baccini, comunque insultato dal sempre nervoso Calderoli. Azzannato, comunque deriso dal «Giornale» e da «Libero», da Fede e da «Panorama». Punito in qualche modo da Berlusconi che di lui ha preso paura. Invidiato e compatito al tempo stesso da Fini e da An. E i suoi molti tifosi si daranno idealmente appuntamento alla prossima occasione, in un luogo e in un tempo dove non è detto che Follini possa arrivare puntuale. Lo ha spiegato Pomicino: per essere «leone» Follini dovrebbe saltare la barricata, sarebbe divertente vedere Follini arrivare e Bertinotti fuggire. Ma Follini non può e non vuole. «Pecora» ha dimostrato di non essere, è stato in fondo il primo a sfidare Berlusconi, dicono oggi sia facile, per anni è stato impensabile. Non gli resta che uno scomodo e nobile destino intermedio, una legislatura, o quel che resta, da orsacchiotto.
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