In Fondazione si è discusso sulla struttura per malati in fase avanzata
Hospice, aventi piano. Del resto è vero che una struttura del genere non si costruisce in due giorni, ma il grande punto interrogativo è rappresentato dalle risorse economiche. Il gruppo di lavoro coordinato dal Comune opera solo da un paio di mesi intorno al progetto di una casa d'ospitalità per malati avanzati. Ieri il convegno di Legacoop sull'argomento (in Fondazione) ha rappresentato un forte stimolo, portando la riflessione su due strutture regionali di assoluto interesse a Bologna e a Reggio Emilia, esempi splendidi di hospice . Certo, non è semplice tirare le fila in senso pratico di una passione civile che tanti a Piacenza condividono - associazioni di volontariato, Caritas, Comune - ma che ancora non ha un profilo (dove fare l'hospice, con quali denari, quali caratteristiche?).
Chi ha ripetuto fermamente di voler portare avanti il progetto, già previsto nei programmi elettorali, è stato il sindaco Roberto Reggi in apertura dei lavori. «Opera ambiziosissima» ammette, per assicurare qualità di vita a chi ha malattie gravi e sostegno alla famiglia e in cui anche la Chiesa piacentina è direttamente impegnata. Mentre Dario Squeri, presidente della Provincia, raccomanda: una struttura cittadina va inserita in una rete che serva tutta la provincia («guai se fosse patrimonio solo di Piacenza»). L'assessore ai servizi sociali del Comune, Leonardo Mazzoli, che coordina il gruppo di lavoro nato sull'hospice, ricorda come non manchi un forte coinvolgimento pubblico e privato su questo tema del miglioramento della qualità di vita per malati gravi, specie oncologici, e della rete di cure palliative. «Stiamo entrando nella fase attuativa del progetto, sono ottimista, ma i nodi ci sono - non nasconde Mazzoli - sulle risorse, il tipo di struttura da attuare, l'organizzazione gestionale». «Noi ci siamo, pensiamo di poter essere partner presenti non solo nella fase di ascolto» dice alla fine Marco Carini, presidente della Legacoop. «Diamo la nostra disponibilità per il reperimento delle risorse, per la formazione professionale, nello spirito che è proprio alla natura mutualistica della cooperazione». Francesco Ripa di Meana, direttore generale dell'Ausl, ripete invece una posizione nota: c'è già un avvio di hospice territoriale a Borgonovo, ma Piacenza vuole, a sua volta, una struttura assistenziale con una decina di posti letto per la città. Una decisione dei sindaci che non rientrava nella programmazione sanitaria. Ergo: l'Ausl non si pone tra i primi attori per la realizzazione dell'hospice, disposta però a far «una parte importante» quando le verrà sottoposto un progetto. Per ora si punta alla definizione di un piano di cure palliative, di un'assistenza integrata domiciliare, di un potenziamento delle dimissioni protette («L'hospice funziona bene quando c'è un prima e un dopo che funzionano»). Silvia Bartolini, vice-presidente della commissione sanità e servizi sociali del consiglio regionale, raccomanda per la buona riuscita una «regia» dei percorsi terapeutici, vale a dire la capacità di mettere in rete apporti sociali differenziati: sanitari, privati, volontaristici. Piacenza già lo fa.
Gli esempi di Bentivoglio e Reggio Emilia Racconti che insegnano e che commuovono, quelli ascoltati sull'hospice, ieri in Fondazione durante il bel convegno della Legacoop, presenti anche una quarantina di ragazzi della scuola infermieri. Vietato usare la parola «malato terminale» in questo contesto. L'hospice è una casa d'accoglienza che aiuta a vincere il dolore fisico e psicologico dei malati gravi (con prognosi a sei o a quattro mesi) e delle famiglie, il senso di abbandono di fronte ai momenti estremi della vita, ma dall'hospice si viene anche dimessi per recuperare una dimensione di vita familiare, 32 volte su cento. Di rilievo le testimonianze. Elena Marri della direzione generale sanità Regione Emilia Romagna, ha dato le coordinate regionali su questo tipo di assistenza normato dalla legge 12 del febbraio 2001, detta anche legge anti-dolore. La Regione ha finanziato 21 progetti per 33 miliardi e trecento posti letto. Toccante la voce di Danila Valenti, direttrice medica dell'hospice Chiantore Seragnoli realizzato da una fondazione privata a Bentivoglio (Bo). Aperta nell'ottobre del 2002, la struttura - in convenzione con l'Ausl - ha 27 posti letto, organizzati in luminose stanzette con divani e un secondo letto per il parente. L'assistenza conta su 15 infermieri professionali, due psicologi, sei medici. La caratteristica saliente? «La struttura si piega in tutto e per tutto ai bisogni dell'ospite e della famiglia». Dialogo, possibilità di relazione, attenzione psicologica sono i punti di forza in una realtà dove si pone attenzione persino al modo di toccare il paziente. Daniela Riccò ha documentato un'analoga struttura (Madonna dell'Uliveto), stavolta pubblica e gestita da una coop sociale, a Monte Riccio Albinea (Reggio Emilia), in mezzo al verde e a 10 chilometri da un ospedale: 12 posti letto, servizio gratuito, un «forte team di medici di base» e una struttura a rete efficace a cui partecipano molti volontari. L'aspetto più importante? «La formazione degli operatori». Concorda Luigi Cavanna, responsabile del reparto di Ematologia dell'Ospedale di Piacenza, che ha raccontato l'hospice visitato a New Haven, dove c'è persino un piccolo cinema. E Cavanna ha insistito sulla necessità di prendersi in carico globalmente il paziente: il dolore fisico, che può essere curato, la depressione, la stanchezza. Ogni operatore, dall'infermiere, all'addetto delle pulizie al medico curante deve essere coinvolto in questo circolo virtuoso che comporta modalità nuove di relazione «facendo ogni sforzo per evitare l'umiliazione alla persona in un momento di bisogno».
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