Blocchi alla frontiera di Ventimiglia, disordini alla Sapienza, presidi e cortei in tante città d'Italia da Torino a Firenze, da Milano a Palermo.
La protesta iniziata quattro giorni sotto le insegne dei forconi si espande, dilaga come per contagio spontaneo, attraversa le categorie più diverse: autotrasportatori, agricoltori, allevatori e poi studenti, casalinghe, precari. Un movimento eterogeneo e magmatico, che per ora ha prodotto a macchia di leopardo disagi e scontri accanto a manifestazioni pacifiche; ma sulla cui evoluzione si tengono gli occhi ben aperti.
Il rischio è che la somma di rabbia e malcontento, di diversa origine e matrice, produca «una deriva ribellistica», «genericamente indirizzata contro le istituzioni nazionali ed europee», alla quale potrebbero agganciarsi «componenti dell'antagonismo, interessate ad intercettare qualunque forma di malessere sociale». A prospettare a chiare lettere questo rischio è il ministro dell'Interno. «C'è stato un fronte violento che ha violato le leggi - ha detto Angelino Alfano alla Camera -. Comprendiamo il disagio sociale», ma «libertà e sicurezza dei cittadini vanno difese. Il governo sa da che parte stare».
Anche il Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi, guarda con attenzione agli sviluppi di una situazione che non ha una regia unica, ma sembra destinata a durare. Un pericolo connesso con questo quadro riguarda la capacità di rappresentare le istanze sottese alle rivendicazioni e il rischio di strumentalizzazioni. Uno snodo chiave, che il premier Enrico Letta ha voluto affrontare in un video-messaggio inviato all'assemblea della Cna, la Confederazione nazionale artigiani, a cui aderiscono anche molti autotrasportatori. «La rappresentanza oggi è in grande crisi: gli attacchi alla politica in questi giorni sono attacchi alla rappresentanza», ha detto Letta, consapevole delle conseguenze che potrebbero verificarsi «se salta il meccanismo con cui il Governo tratta con le categorie e i loro legittimi rappresentanti».
È un fatto, però, che da giorni, saltando questo meccanismo, una protesta che sembra partita dal basso, che si è organizzata su base locale e tramite la rete, alza la voce. Ventimiglia e Roma sono stati ieri i due epicentri. Al valico con la Francia già di primo mattino sono iniziati i blocchi per non far transitare i mezzi: gli agenti sono intervenuti con i lacrimogeni per liberare la strada: qualche tafferuglio ma nessuna carica. Nel pomeriggio i manifestanti hanno replicato l'azione, impendendo il passaggio sia verso la Francia sia verso il Piemonte. A Roma, tutt'altro fondale e tutt'altro contesto. Le proteste scoppiano alla Sapienza contro la conferenza nazionale sulla green economy: gli studenti sfondano le transenne che li separavano dall'aula magna che ospita l'incontro e lanciano bombe carta. La polizia, secondo le ricostruzioni dei ragazzi, carica: due i fermi. Ma il bilancio fa registrare anche due poliziotti feriti. Nella Capitale, intanto, sfilano diversi cortei - e tra questi quello delle tute blu della Fiom con 60 pullman sbarcati a Roma. Il traffico va in tilt. Una scena che si ripete in molte città, a cominciare da Torino, già centro di scontri lunedì e martedì: oggi nuove tensioni, otto antagonisti fermati e quattro giovani bloccati e portati in commissariato per manifestazione non autorizzata. Qualcuno, anche per fini politici, potrebbe approfittare di una situazione così esplosiva? Se il governo sta con i cittadini «onesti» che manifestano con «compostezza», sta con le forze dell'ordine, rifiutando le strumentalizzazioni - compreso il tentativo di leggere in maniera «arbitraria» come sostegno alla protesta il gesto di alcuni poliziotti di togliersi il casco - «chi è nelle istituzioni - è il messaggio di Alfano - non cavalchi la protesta».
Eva Bosco
ROMA- A mezzogiorno nel presidio permanente di piazzale dei Partigiani, in un rettangolo ritagliato tra le tende e il gazebo, un gruppo di ragazzi improvvisa una partita. Uno corre imbracciando la bandiera Tricolore, l'unica ammessa, dribbla gli avversari tra gli applausi. Tifo, risate. Dal 9 dicembre, giorno fissato per l'inizio della «rivoluzione», a Roma tutto è tranquillo, ma il fuoco della rabbia cova sotto la cenere in attesa che sabato il Coordinamento nazionale 9 dicembre decida il nuovo giorno X, quello della «marcia» sulla Capitale, l'assedio pacifico annunciato da Danilo Calvani, uno dei leader della protesta. «Ma ora pazientate, facciamo bollire l'acqua» ha chiesto Mariano Ferro, il capo dei Forconi. «Le ideologie non ci interessano, non ci sono colori politici qui: vogliamo solo che se ne vadano tutti - dice Barbara De Propis, disoccupata, che con Alessio Provaroni rappresenta il Coordinamento - Chi parla è solo il popolo disperato che lo Stato ha portato alla fame». Così aspettano, da lunedì, circondati da un cordone di poliziotti e carabinieri. Disoccupati, precari, piccoli imprenditori, studenti, pensionati, ambulanti e autotrasportatori. Ragazzi coi dreadlocks dei rasta e teste rasate. Più destra, ma anche sinistra, e scontente entrambe. Davanti al gazebo, su un banchetto, pane in cassetta, dolci. Dietro, casse di acqua minerale. «Ce li porta la gente». Alcuni tengono la piazza di notte, dormendo in tenda o in macchina. Altri vanno e vengono. Per ora senza una regia precisa, né un capo riconosciuto. Tutti uniti dallo stesso rancore verso la classe politica «che ha distrutto l'Italia» e verso «i media corrotti», i padroni e i «servi», i divoratori e i mistificatori, i bersagli principali di un malcontento orientato confusamente verso lo stesso obiettivo: «cacciarli tutti», ma senza progetti precisi su cosa si farà «dopo» la «rivoluzione». «Rivendichiamo solo i nostri diritti - spiega Barbara, disoccupata da quando la cooperativa per cui lavorava come ausiliaria ospedaliera ha tagliato il personale - La nostra colpa è solo quella di esserci svegliati tardi. Ma meglio tardi che mai. Berlusconi, gli altri, sono i soliti opportunisti. Dopo? Non vogliamo più gli stessi partiti, ci sono tanti movimenti extraparlamentari che la pensano come noi, ma prima di tutto la sovranità monetaria». Le facce del Paese infelice sono innumerevoli. Quella del pensionato Giorgio Benvenuti, 65 anni: «I nostri governanti sono sordi. Che deve fare la gente che non ha da mangiare? Andare a rubare? ». Quella di Giovanni Carletti, ex dipendente di un'agenzia di recapiti, convinto che dietro al disastro ci sia un «complotto giudaico», che da vent'anni non vota e spera «che salti in aria il sistema». Quella di Veronica C., ex cameriera di 26 anni, che da sei mesi non trova lavoro e fa i salti mortali per pagare l'affitto.
Rosa Tomasello
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