Mazzocchi: «Se mi votano, io ci sto»
Il presidente da sempre della Fondazione, Gian Carlo Mazzocchi, potrebbe restarlo anche per il prossimo quadriennio. «Se mi vota il consiglio generale, io ci sto» dice il numero uno dell'ente di via Sant'Eufemia che ogni anno distribuisce fondi con finalità sociali per 15-16 miliardi di vecchie lire. La Fondazione è un prim'attore sul palcoscenico piacentino e Mazzocchi ne è il regista da 1992. Ora gli rimane una sola possibilità di rinnovo, da che è stata rivista la struttura di questi enti. E il professore, pur senza toni sopra le righe che non sono nel suo stile, sembra più che disposto a sfruttarla. Almeno in parte, se è vera la voce di una possibile staffetta, fra due anni, con l'ex sindaco Giacomo Vaciago, che di Mazzocchi è stato studente. Ma altre forze potrebbero farsi avanti: è circolato il nome di Giacomo Marazzi, portabandiera dell'industria. Dunque, l'11 di novembre scadono presidente e consiglio generale. Fra qualche giorno Mazzocchi chiederà a tutti gli enti designatari di indicare i nomi dei nuovi consiglieri (gli attuali potrebbero essere riconfermati per un mandato). La procedura applicata per il rinnovo è quella dell'attuale statuto. C'era proprio bisogno di rivedere la “magna charta” dell'ente redigendo un nuovo statuto (che il ministero deve approvare)? «Il nostro statuto andava benissimo così come era - argomenta Mazzocchi - anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Tuttavia si è voluto cambiare qualcosa, senza stravolgere». Si è messo mano ai settori rilevanti di intervento, con alcuni aggiustamenti nominali e di sostanza: all'istruzione scolastica e universitaria, arte-cultura e conservazione dei beni culturali, formulati in modo nuovo, si affiancano la ricerca scientifica e tecnologica, il volontariato e la filantropia, l'assistenza agli anziani. Ed emerge l'attenzione alla famiglia. Prendiamo quest'ultima. In che modo aiuterete? «In modo indiretto, con biblioteche, nidi, asili, non possiamo pensare a sovvenzioni di altra natura. Anche il contributo alla “Madonnina” di Caorso è un sostegno alla famiglia in un certo senso, oltre che agli anziani». La ricerca? In fondo non è una novità, viste le robuste sovvenzioni a Cattolica e Politecnico, oggi orientate soprattutto sul centro ricerche per l'energia, sul centro per l'ingegneria meccanica, sull'innovazione. Altre novità statutarie? «Aver uniformato le scadenze degli organismi, per superare certe discrasie. Il consiglio di amministrazione durerà 4 anni e non più 3, come il presidente e il consiglio generale e aumenta in rappresentatività: da sei a otto membri, con tutti d'accordo». Ma i cambiamenti introdotti dal nuovo statuto varranno fra quattro anni. Ora si va avanti con le vecchie regole. Veniamo al rinnovo. Presidente, lei si ricandida? «Tutto dipende dal voto del consiglio generale, se i consiglieri mi votano, nonostante la mia vecchiaia, io ci sono. Se no, vado a casa tranquillamente». La Fondazione è un po' una sua creatura, vede rischi intorno ad uno strumento così importante? «Il vecchio discorso Tremonti-Bossi di introdurre in consiglio un maggior peso degli enti locali, consegnando le Fondazioni alla politica, non è passato, la Corte Costituzionale ha detto no, si torna alla legge Ciampi del '99. Oggi agli enti locali il governo ha tagliato molti soldi, il rischio poteva essere che la Fondazione diventasse il Bancomat degli enti, nonostante avessimo altri obiettivi: scuole, università». Ma l'autonomia gestionale e statutaria resta un «punto centrale» da salvaguardare. «Ciò non significa che enti locali siano tenuti a margine, hanno nomine importanti. In generale in consiglio si è lavorato bene, senza grosse fratture». Il fiore all'occhiello? «Le università, certo. E ha ragione Giacomo Vaciago quando dice che le università non sono solo il palazzo e i professori, ci vuole la casa per studenti, l'ospitalità. I collegi funzionano bene perché le persone si scambiano opinioni, si crea un clima favorevole, si cresce invece di perdere tempo in treno a viaggiare. Il progetto Collegio Piacenza stenta un poco ma dovrà andare avanti». Qual è oggi il suo stato d'animo?« Credo di aver fatto bene, e forse la cosa più importante e che più mi ha fatto penare è l'aver quadruplicato il patrimonio con la vendita delle azioni Banca Intesa. I piacentini mi furono tutti contro in consiglio, fatta eccezione per i vigevanesi e un piacentino, il cavalier Ronchini. Fummo cinque su nove, gli altri se ne andarono. Ora però la Fondazione è passata da 200 a 800 miliardi di vecchie lire. E poi ci siamo difesi evitando di comprare cose strane, con obbligazioni sicure, ora possiamo investire anche il 10 per cento in immobili. Tutto questo ci ha rafforzato».
Gli investimenti più importanti della Fondazione? «Le scuole e le università assorbono circa il 40 per cento delle risorse, l'arte e la cultura il 30-35 per cento, il resto è suddiviso tra varie voci, per esempio sul sociale, dove abbiamo contribuito con stanziamenti per il funzionamento delle case di riposo e sulle rette» spiega Gian Carlo Mazzocchi. Restando alla cultura, ha fatto discutere il grosso investimento sulla Fondazione Toscanini e il Teatro. «Io so che tre enti locali maggiori come Regione, Provincia e Comune di Piacenza, oltre ad altri enti minori, avevano un progetto sul Teatro municipale. Come fa la Fondazione a restarne fuori? Non può. Qualcuno si è lamentato, ma qui ha chiesto una comunità intera e mi pare che la Toscanini non abbia funzionato male». Vuol dire che avevate dubbi? «Il consiglio generale non era molto convinto».
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