Il movimento ritmato delle mani accompagna il "geyser-sound", gli "uuhh" delle migliaia di islandesi che da settimane hanno invaso la Francia e i suoi stadi: il barbuto Aron Gunnarsson, che ha scelto questo look da vichingo per andare alla conquista dell'Europa, guida i suoi fedeli nella danza finale, ribattezzata erroneamente haka, ma che con la celebre coreografia degli All Blacks non ha nulla in comune, se non la capacità di tenere il mondo incollato alla tv inducendo tutti a simpatizzare per chi la mette in scena.
Il popolo che ha più vulcani che calciatori- riprendendo le amare parole di Gary Lineker dopo l'eliminazione dell'Inghilterra - ha mandato i suoi pochi tesserati nel G8 d'Europa.
"Se vinciamo, la vita cambierà per tutti noi", aveva detto Heimir Hallgrimson alla vigilia degli ottavi di finale. Bene, la loro vita è già cambiata.
Come l'Islanda sia riuscita a compiere quest'impresa è storia nota: lo Stato, molto prima che la bancarotta aprisse la crisi del 2008, ha investito nel calcio (anche costruendo campi coperti in erba sintetica) per salvare i ragazzi dall'alcolismo e dalla dipendenza dalla nicotina. Crescendo il numero dei tesserati, è cresciuta la passione: così si è arrivati a una nazionale che conta 23 giocatori su 23 che giocano all'estero. Questo gruppo sfiorò già la storica qualificazione al Mondiale, con il sogno che si infranse solo ai playoff contro la Croazia. All'Europeo ci è arrivato in scioltezza, facendo fuori i maestri olandesi, battuti all'andata e al ritorno: ecco perché, considerando anche un girone abbordabile, non era così impensabile che in Francia potessero essere la rivelazione.
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