Non deve essere parso vero al PD vedersi consegnare sul piatto d'argento di un ordine del giorno la resa incondizionata della maggioranza di centrodestra all'unione con Parma.
L'opzione di area vasta sulla quale il PD era attestato da tempo. Le chiacchiere di mesi e le dichiarazioni tonitruanti ridotte a zero. Appena il tempo di riaversi dallo stupore e il capogruppo Bergonzi si è affrettato ad apporre anche la propria firma in calce alla clamorosa inversione ad U.
Un "atto di responsabilità e di concreto realismo", ha definito la scelta il presidente Trespidi, già dimentico degli strali e delle invocate dimissioni per la presidente del CAL, Zappaterra, che qualche giorno prima aveva avanzato la stessa ipotesi, o dei piccati distinguo rispetto all'invito del Coordinamento regionale PDL a procedere rapidamente con la "fusione" tra Parma e Piacenza stante la "convinta contrarietà al mantenimento delle attuali Province in quanto enti inutili". Per non farsi mancare nulla gli strateghi del centrodestra, nel mentre davano mandato al Presidente per trattare la resa con Parma, hanno imboccato anche la direzione opposta, confezionando in fretta e furia una richiesta di referendum consultivo per trasferire la provincia in Lombardia.
A parte ogni considerazione sull'opportunità di spendere qualche centinaia di migliaia di euro della collettività per dare esecuzione a norme che si propongono di ridurre i costi della politica, all'evidenza si tratta di un pannicello caldo dall'improbabile esito utile a serrare le fila, tacitare i maldipancia interni alla maggioranza sulla prima proposta e giocare allo scaricabarile con i cittadini chiamati in nome della democrazia a pronunciarsi (peraltro in modo non vincolante) su scelte politiche che il centrodestra non è in grado di assumere.
A dire degli stessi strateghi il referendum non è la proposta forte del centrodestra ma solo la spada di Damocle che penderà minacciosa sulla testa di quanti dovranno trattare con Trespidi le condizioni dell'annessione, pronta ad essere impugnata se non saranno soddisfacenti. Difficile immaginare che a Bologna una tale minaccia possa far tremare i polsi a qualcuno anche perché potrebbe trasformarsi in un boomerang qualora gli interlocutori si avvedessero di aver di fronte un generale senza truppe.
Su entrambi i provvedimenti l'Italia dei Valori ha espresso una motivata contrarietà, ribadendo la necessità dell'abolizione di tutte le province. In proposito non suonano di conforto semmai di presa in giro, non tanto per noi quanto per i cittadini, le dichiarazioni di quanti, alla luce dei fatti, ritengono solo ora che sarebbe stato meglio l'eliminazione totale.
A tal fine sarebbe bastato che nel luglio 2011 l'allora maggioranza, con l'astensione determinante del PD, avesse votato un emendamento IdV per l'abolizione delle province o si fosse dato seguito alla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare avente lo stesso scopo sottoscritta nell'autunno scorso anche da alcune migliaia di piacentini.
Non ci convince l'idea di area vasta, dalla quale per quanto riguarda i trasporti, il servizio idrico, i rifiuti non abbiamo dimostrazioni di grande efficacia, senza pensare a cosa potrebbe accadere per la sanità e alle conseguenze in termini di disservizi per i cittadini che potrebbe avere la desertificazione istituzionale prodotta dallo smantellamento della presenza dello Stato nel territorio.
Crediamo che quella in corso sia una discussione di retroguardia. L'ennesimo esempio di una politica in ritardo rispetto ai bisogni delle persone.
Mentre si discute (dum Romae consulitur…) il colore della tappezzeria del quartier generale (la provincia) la trincea della prima linea (i comuni) viene travolta: dei comuni che non ce la fanno più, specie quelli di collina e di montagna che non hanno risorse, e sono i primi interlocutori dei cittadini bisognerebbe occuparsi e pensare ad una loro riorganizzazione in tal senso intendendo il termine "riordino" previsto dalla legge.
Proprio perché non ci interessa la protesta fine a se stessa e abbiamo un'idea della politica come motore di cambiamento, che per essere tale non può limitarsi a fotografare la realtà ma deve prefigurarne una diversa, abbiamo avanzato una proposta - non presa in considerazione dalla politica ufficiale quanto apprezzata da vari amministratori - che vuole essere di stimolo a pensare dal basso, in modo sperimentale ed in deroga ai criteri prefissati una diversa organizzazione degli enti territoriali e delle loro funzioni a partire dall'individuazione di ambiti ottimali, in una prospettiva idonea a garantire ai piacentini una politica vicina ai bisogni ed alle loro aspettative, che sappia dare risposte immediate e che sia soggetta al controllo diretto e immediato del cittadino elettore.
Italia dei Valori Piacenza Segreteria Provinciale
LIBERTA' 26/09/2012
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