Squeri: ma il nostro progetto politico andrà avanti
"Nella guerra, determinazione. Nella sconfitta, resistenza" sentenziava Winston Churchill.
E ieri il candidato bocciato dall'elettorato, Dario Squeri, deve essersi ricordato della celebre massima.
La guerra è persa, ma i primi commenti "a caldo" sono prospettici: «Il nostro progetto politico andrà avanti, si è piantato un seme. Contro di noi hanno giocato i poteri forti della città».
Se sarà o no il capo dell'opposizione in consiglio, Squeri ancora non lo dice. Rimanda ad un prossimo incontro con i suoi e con le segreterie politiche la decisione ultima, definita importante e strategica per il centrodestra piacentino.
L'aspetto controllato tradisce appena la delusione, che deve essere cocente proprio quando i venti soffiano a favore del centrodestra nel nord del Paese.
A fianco, il fratello Alberto, ex assessore della giunta Reggi.
Qualche stretta di mano, un abbraccio. La commozione subito mandata giù per gola, ma gli occhi si inumidiscono e tutti se ne accorgono.
La campagna elettorale, condotta a spron battuto, si è accartocciata su un bilancio che segna undici punti di distacco dal vincitore (furono nove tra Reggi e Guidotti, nel 2002). Tanti, un ferita aperta. Squeri arriva appena prima delle 17 al Point di piazzetta San Francesco, quando ancora manca una manciata di sezioni ai risultati definitivi, ma già inequivocabili. Sale al piano superiore. Vuole parlare solo con il suo staff. Poche le facce politiche, pochissime quelle al vertice del centrodestra, solo Alessandro Guidotti, segretario provinciale dell'Udc.
Poi una veloce adunata sul sagrato della basilica di San Francesco con un gruppo di giovani e di gente del suo movimento, il Cpe. Foto di squadra. La promessa di una festa che comunque ci sarà. Il commento di rito prima di salire in macchina insieme al fratello e di spegnere il cellulare. Mezz'ora dopo sono già abbassate le saracinesche del Point. «Chiuso per lutto» commenta caustico un ciclista che pedala verso il balcone municipale di Reggi.
«Ritorniamo tutti a casa, alla famiglia, al lavoro, con più forze di prima, più serenità di prima - dirà Squeri rivolgendosi ai suoi - anche nella vita politica bisogna accettare ciò che la realtà ci mette davanti, ma con un impegno: questo sforzo non andrà perduto. Abbiamo messo un seme in questa città che non deve morire assolutamente, avrete il mio impegno che non morirà e voi siete il popolo che lo porterà avanti». Le prime dichiarazioni sono per gli amici, i «semplici volontari» che hanno sostenuto una corsa in salita. «Voglio ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine con il loro lavoro. E' la cosa più bella che mi rimane di questa campagna elettorale. Ci abbiamo messo il cuore, tutto il nostro spirito, tutto il nostro impegno per la città».
Nel fare altrettanto verso le forze politiche che hanno condiviso l'impresa «in modo molto corretto», due sole le citazioni: il senatore Massimo Polledri e l'onorevole Tommaso Foti per «l'aiuto sincero e fattivo».
Ma il divario con Reggi è corposo, cosa ha giocato contro, riusciamo a chiedergli? «Non recrimino niente, noi abbiamo fatto una battaglia di libertà, avevamo contro tutti i poteri forti di questa città, a cominciare dai poteri politici. Questa è una città che ormai si sta rinchiudendo dentro alla logica emiliano-romagnola dei cosiddetti poteri rossi. Avevamo contro lo Stato - enumera Squeri - i ministri, avevamo contro la Regione, la Provincia, l'attuale assetto dell'amministrazione comunale, avevamo contro tutto ciò che oggi è il potere della sinistra in Emilia Romagna e soprattutto un potere che si è ancorato ancor di più in questa città. Avevamo contro buona parte della stampa, i poteri forti di una certa imprenditoria e nonostante tutto abbiamo ottenuto il 45 per cento circa».
Un traguardo certo insufficiente, ma che per il candidato del centrodestra ha un significato inequivocabile: «Vuol dire che c'è un pezzo di città che ha creduto in noi, per questo sono sereno, molto soddisfatto comunque di quello che ho fatto, molto tranquillo rispetto al futuro. Ma i piacentini hanno scelto di rimanere dove sono, non hanno scelto il cambiamento, credo che questa città avesse bisogno di un colpo d'ala, di un grande cambiamento, a questo punto non posso far altro che prendere atto del risultato». E l'augurio a piacentini è colmo di amarezza: «Spero che non debbano rammaricarsi della scelta che hanno fatto oggi».
L'analisi "a caldo" sui massimi sistemi? «Si sono confrontati due modelli di città, la nostra segnava un cambiamento, un atto di maggior coraggio». Per una città, va ripetendo Squeri, che «doveva dare opportunità a tutti, non solo ad alcuni, che doveva riscoprire nuovi canali dell'impegno sociale, una città più libera, non ancorata ai confini regionali ma capace di aprirsi al mondo, alla grande competizione dei territori, meno arrogante e più disponibile al dialogo, che avesse al centro la qualità della vita e non la speculazione edilizia, con un'informazione più garantista per tutti e non a senso unico». E dai piacentini «più umili» è arrivato, dice, l'incoraggiamento più forte.
Ma non è il momento delle analisi scientifico-politiche, solo dell'introspezione: «Ce l'ho messa tutta, il cuore, la mia esperienza di amministratore, il mio spirito di imprenditore, l'anima, il mio modo di intendere la politica, un po' del mio amore per questa città». Patrizia Soffientini
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