Finale con i fuochi d'artificio ieri in consiglio comunale dove era in esame il documento sulle aree militari uscito il 3 ottobre dall'apposita commissione consiliare presieduta da Gianni D'Amo (Piacenza comune), contenente le linee di indirizzo che la giunta è chiamata a seguire da qui in avanti nella gestione della delicata partita di dismissione dei beni di proprietà del ministero della Difesa.
Il documento è stato, sì, fatto proprio dall'aula, ma senza quel convinto sostegno bipartisan auspicato da D'Amo per rilanciare a dovere l'attività della commissione giunta a metà strada del suo mandato iniziale indicato in 18 mesi (salvo possibili prolungamenti).
Di qui la decisione dell'esponente di Piacenza comune, dichiarata a seduta ormai sul punto di concludersi, di annunciare la sua volontà di dimettersi («Nei prossimi giorni») dalla carica di presidente dal momento, ha spiegato amareggiato, che «non ha senso tenere in piedi una commissione se nessuno delle minoranze si è sentito in dovere di parlare del futuro» dell'organismo: stando così le cose, «davvero sono tempo e soldi buttati via».
Parole, quelle di D'Amo, puntate contro l'opposizione di centrodestra che è sembrata alla ricerca di ogni pretesto utile per affondare la commissione. Il presidente, che pure appartiene alla minoranza - seppur da un versante di centrosinistra - e che a inizio 2008 era stato eletto alla guida dell'organismo consiliare superando di misura l'altro candidato, il forzista Filiberto Putzu (le forze politiche si erano accordate perché la carica andasse a un esponente delle opposizioni), aveva auspicato un sostegno agli indirizzi ieri in esame possibilmente più largo di quello avuto in commissione dove erano stati votati, oltreché dalla maggioranza, da Piacenza Libera e da Carlo Mazza (gruppo misto).
E se era difficile immaginare una convergenza di An-Pdl che fin dall'inizio aveva contestato l'organismo scegliendo di non entrare a farne parte, l'appello di D'Amo aveva semmai come destinatari l'altro pezzo del costituendo Pdl, ossia Forza Italia che in commissione si era astenuta, così come la Lega Nord, il cui esponente, Massimo Polledri, era assente la seduta del 3 ottobre.
Quando però, a fine seduta, è stato messo in votazione non il documento di indirizzi visto che il regolamento non lo prevedeva, bensì un ordine del giorno di D'Amo (solo la presentazione di odg era ammessa) che non solo fa recepire integralmente dal consiglio quanto uscito tre settimane fa dalla commissione, ma anche la invita a «proseguire e intensificare la propria attività almeno fino al termine del mandato (luglio 2009)», si è visto che l'appello del presidente era caduto nel vuoto: se centrosinistra e Piacenza Libera hanno confermato senza titubanze il loro sì, Mazza è parso meno convinto risolvendosi solo in ultimo a schiacciare il tasto verde; Forza Italia è rimasta invece sull'astensione, di An nessuno era in aula al momento della conta (ma Marco Tassi già aveva abbondantemente sparato a zero sulla commissione e il suo operato: «Solo una perdita di tempo e di denaro, nessun indirizzo valido può essere fornito in questa sede poiché gli interlocutori che contano, cioè il ministero della Difesa, stanno a Roma ed è là che il sindaco deve andare a trattare») e la Lega ha votato contro.
Restavano ancora due odg da discutere, ma a quel punto D'Amo deve avere cominciato a pensare alle dimissioni. Dal microfono ha cercato di richiamare i «molti» ai quali «è sfuggito in questa discussione che stiamo parlando di una commissione speciale nata sulla base di un accordo politico che facesse prescindere dalle logiche di schieramento, è difficile far lavorare questa commissione se dalle minoranze non viene lo sforzo di uscire dalle logiche di parte» ritrovandosi su una «trasversalità» che ha portato a un presidente espresso dalle minoranze stesse: «Se però non le ha alle spalle le minoranze, gli diventa complicato» dare un senso all'organismo che guida.
Ma il quadro è diventato ancora più nero. La goccia che ha fatto traboccare il vaso l'ha versata Mazza che, dopo il voto sul terzo e ultimo odg, si aspettava che venissero discussi i tre emendamenti al documento di indirizzi da lui proposti. Vero che non ne erano ammessi, e tuttavia a suo giudizio il testo dell'odg di D'Amo poco prima approvato ne legittimava la presentazione. Occorreva però, ha ricordato il presidente del consiglio Ernesto Carini (Pd), l'assenso del firmatario del documento da emendare, cioè D'Amo, il quale l'ha invece negato spiegando che il suo massimo sforzo di sintesi per tenere insieme tutte le anime della commissione l'aveva prodotto su quel documento così come approvato il 3 ottobre: dunque niente sottoscrizione, da parte sua, di odg o emendamenti specie se provenienti da chi, come Mazza, è «tra le persone che più mi hanno spinto ad accogliere tutto il possibile per uscire in modo unitario».
Mazza - che aveva giustificato la presentazione solo ora delle sue richieste di modifica al testo con il fatto che «in questa settimana ho compiuto delle ricerche di approfondimento» - si è risentito al punto dello stralcio degli emendamenti che, nel dichiarare di voler «ritirare» il suo voto di alcuni minuti prima a favore dell'ordine del giorno-D'Amo, ha polemicamente abbandonato l'aula.
La seduta era a quel punto terminata, eccezion fatta per l'appendice voluta da D'Amo per preannunciare le sue dimissioni. Gustavo Roccella gustavo.roccella@liberta.it LIBERTA' 28/10/2008
|