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Centrodestra italiano al bivio

di Sergio Romano

Vorrei confutare le opposte tesi degli editorialisti Ernesto Galli della Loggia e Marcello Veneziani. Entrambi, parlando della «destra», cadono nelle stesse argomentazioni, anche se opposte. Sono convinti che si tratti solo di intellighenzia e di intellettuali. Ma in Italia, a impegnarsi in politica fino a farne una professione, per forza di cose, sono solo gli uomini di sinistra perché quelli di destra di un certo valore, ritengo, si impegnano nelle professioni e nell'imprenditoria, ma mai in impegni politico-intellettuali.
Alessandro Marcucci Pinoli

In ogni sistema bipolare il centrodestra è un amalgama di gruppi sociali motivati dai più diversi interessi.
Li unisce, tuttavia, il timore che il governo cada nelle mani di uomini e partiti poco sensibili ai diritti della proprietà e a ciò che molti moderati definiscono, spesso pensando soprattutto al proprio personale status sociale, «l'ordine costituito». In Italia, dove l'industrializzazione ha investito soltanto una parte del Paese e le tradizioni nazionali sono più fragili, l'elettorato di centrodestra è particolarmente frazionato ed eterogeneo. In altre parole fra i ceti sociali modernizzatori e i gruppi corporativi o grettamente conservatori lo scarto, da noi, è più grande di quanto non sia in paesi come la Germania, la Gran Bretagna e la Francia.

Se è necessario modernizzare profondamente la società e disboscarla dalle molte rendite di posizione (sindacali, industriali, professionali, corporative) che la paralizzano, il centrodestra italiano dovrà fare cose sgradite a una parte del suo elettorato. Occorre però che il governo disponga di un ragionevole lasso di tempo, sia lungimirante e non sia insidiato da dissensi interni. La prima condizione, dopo il risultato elettorale del 2001, esiste. Le altre due, purtroppo, no. Le responsabilità sono molte, ma mi ostino a pensare che il principale errore di questo governo, e di quello che lo ha preceduto, sia stato di non completare la transizione istituzionale degli anni Novanta. Occorreva dare al presidente del Consiglio italiano i poteri del premier inglese, del cancelliere tedesco e del primo ministro spagnolo.

I problemi di queste settimane, forse, sarebbero stati evitati.
È certamente vero che il mestiere della politica (militanti, dirigenti) è una caratteristica dei partiti di sinistra. Ed è altrettanto vero che i rappresentanti dei ceti moderati sono generalmente assorbiti dalle loro occupazioni e quindi poco inclini a impegnarsi nella vita pubblica. Ma correggerei la sua affermazione con tre considerazioni. In primo luogo il prototipo dei partiti di massa, in Italia, è il partito nazionale fascista. In secondo luogo, Alleanza nazionale è, come i partiti di sinistra, una struttura gestita da professionisti e servita da militanti. In terzo luogo non è vero che gli industriali e i professionisti abbiano sempre voltato le spalle alla politica.

Per gli anni della Prima repubblica potrei ricordarle Adriano Olivetti, Umberto Agnelli e Luigi Rossi di Montelera, eletti al Parlamento.
Per l'ultimo decennio infine potrei osservare che il rinnovamento della classe politica è avvenuto principalmente grazie a un considerevole numero di persone, di destra e di sinistra, che hanno lasciato gli affari o la professione per periodi più o meno lunghi. Tralasciando il nome più ovvio, ne faccio qualcun altro, a caso: Franco Debenedetti, Franco Lombardi, Letizia Moratti, Lucio Stanca, Girolamo Sirchia, Dario Rivolta, Umberto Veronesi, Francesco Merloni, Luigi Lunardi.


pubblicazione: 02/08/2004
aggiornamento: 07/10/2004

Sergio Romano 3071
Sergio Romano

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