di Luigi Galli
Cammina per le strade, ormai, l'aria di Natale, sottile e lieta, profumata d'incenso, di vecchie statue da presepe e d'anolini alla piacentina. Profumo d'incenso? Sì, ad entrare nelle chiese di città e campagna se n'avverte il sentore. Oh, la chiesa nel silenzio, finalmente, dopo il frastuono delle strade! In penombra essa pare mutarsi nella Grotta di Betlemme, soffusa d'attesa… Attendono le stelle di Natale attorno all'altare, attendono i ceri d'esser accesi, attendono le canne dell'organo che spargeranno per le navate “Tu scendi dalle stelle”, attendono le file di sedie fatte più lunghe dal sagrestano perché verranno in molti, attendono immobili gli Angeli di gesso, attendono i pastori del presepe col passo sospeso innanzi alla mangiatoia ancora vuota. Verrà la mezzanotte di Natale. Allora, il profumo d'incenso si farà forte e durerà… Uscire di funzione, poi, nella notte fredda. Andar lieto per strada con la tramontana che pizzica la faccia, a braccio della persona amata, guardare il cielo profondo non più spazio indifferente, credere che le angosce di domani potranno trovare un balsamo, comprendere come siano beati gli uomini di buona volontà, testardi a lenire nei secoli il male delle tenebre..! Ferma, ferma, alt ai grandi pensieri! E' Natale per l'anima, che tuttavia vuol essere anche innocente e candida. Camminare, allora, sulle foglie secche del viale, orlate di brina, che crocchiano e divertirsi al rumore. Oppure, sollevare lo sguardo ai camini che stanotte continuano a fumare. O anche osservare le tante finestre ancora accese, col brillio colorato dell'albero di Natale dietro le tende… Ma sì, questa notte cuore aperto a tutti, senza alcun lucchetto! Stanotte. E domani, domani l'altro? Intanto cominciare e… poi cercar di resistere. D'altra parte sessanta Natali non son passati per niente. Qualcosa s'è capito ed i lucchetti son quasi buttati tutti. Perbacco, ecco le mani gelate e qui sul viale tira un'aria boia..! Via, via in casa, sul divano, innanzi a quel pezzo di chiesa che vi ho costruito. Già, il presepe! Statue di gesso, corrose e un po' sbiadite, ma giunte dall'infanzia, acquistate una per una con padre e madre. Profumano di vecchio e di polvere lieve, che fan “äria ad Nadäl”. Mezzodì di Natale. Oh, a tavola là, ché anche lo stomaco vuol la sua parte! Una parte, allo stomaco, non tutta la festa che deve ricevere altri riguardi. Un attimo di ritorno all'infanzia povera di sessant'anni fa, ma con la tavola di Natale, una volta l'anno, preparata come si deve. Era una conquista d'uomini che avevano faticato sino all'ultimo, di donne che mangiavano gli anolini in piedi per servire liete giovani e vecchi, bambini ed adulti, ammalati e sani… Ancora, di vigilia, son rimasto in cucina silenzioso. Ho seguito il via vai sovrano delle donne. Padrone assolute delle situazione, loro. Intanto, profumi di pasta fresca, di ripieni col pizzico di noce moscata, di stracotti che esalano sornioni, di lessi a rigirarsi fra le bolle d'un brodo tutt'occhi. Mio nipote Luca, quasi due anni, sgambetta tra le donne che gli accarezzano rapide la testa, alza un cucchiaio di legno ad indicare una pentola ed esclama: “Bodo, bodo!”. Gli piacciono gli anolini nostrani, col “bodo”. I beni della Terra sono doni di Dio, anche loro. E come tali van trattati. Questione solo di misura. E di giustizia, ossia un po' a tutti. Chi viene da Natali magri lo capisce bene…
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