«Piacenza quindici anni dopo? E' a metà strada tra rinnovamento e tradizione».
Un giudizio sfaccettato quello di Daniele Fornari, che curò la precedente indagine sull'industria manifatturiera locale. Ordinario di marketing internazionale all'Università di Parma e condirettore del Cermes, il centro di ricerca sul marketing dell'Università Bocconi, Fornari coglie della nuova configurazione imprenditoriale certe tendenze interessanti e significative, ma anche la conferma dei punti di forza e soprattutto di debolezza del sistema-Piacenza.
E se quindici anni fa certe scelte non erano così imperative o necessarie, oggi («negli ultimi tre anni è cambiato il mondo...») la nostra realtà deve interrogarsi se compiere «il salto», scegliere la discontinuità oppure no.
«C'è un dato che balza all'occhio, sfogliando l'indagine recente, il 35 per cento delle imprese di allora ha cessato l'attività, la causa è principalmente nella mancanza di un ricambio generazionale - commenta Fornari. - Un altro elemento caratterizzante riguarda il fatto che molte imprese operavano già quindici anni fa in mercati maturi o in declino e non sono state capaci di riposizionarsi o sono fallite».
Ecco, dunque, un punto di vulnerabilità: il 50 per cento delle imprese locali allora come oggi si muove in mercati maturi e mostra una scarsa «diversificazione del portafoglio-prodotti». «Basti considerare che il 67 per cento del fatturato è realizzato con una sola linea di prodotto - è l'analisi - e c'è quindi una forte focalizzazione produttiva delle imprese che, associata al mercato maturo, mette a rischio di sopravvivenza le aziende. Uno scenario che si ripropone oggi e che significa scontare tassi molto ridotti di sviluppo dei mercati e misurarsi su variabili di tipo competitivo come il prezzo, il che non ci avvantaggia». Fattori comuni a gran parte del Paese.
Tra gli aspetti nuovi, Fornari osserva positivamente che oltre la metà delle imprese ha modificato la governance societaria: «Un dato importante che coinvolge specialmente l'imballaggio, la raccorderia, gli alimentari, l'alta tecnologia industriale, evidenziando un cambiamento che si accompagna al passaggio di un'economia di tipo imprenditoriale ad una di tipo manageriale». Molte imprese locali hanno ancora una conduzione familiare, altre sono entrate in grandi gruppi, come è accaduto per Biffi Vanessa, Astra, Mandelli, Jobs, ma Fornari non vede ancora un sistema a rete, l'indagine evidenzia piuttosto le «difficoltà» a sviluppare alleanze, relazioni e partnership tra imprese locali che mantengono la loro individualità.
E qui l'esperto nota il riemergere di certe peculiarità del sistema sociale piacentino, tendenzialmente chiuso. «Il tema della collaborazione nel territorio è una grande debolezza trascinata nel tempo, domina l'individualismo».
Tra i processi propositivi di oggi, Fornari inscrive invece il cambiamento della struttura professionale, indice di un processo di terziarizzazione dell'industria in cui aumentano i servizi a maggior valore aggiunto: «C'è maggior incidenza di quadri, ma pochi laureati è vero, il che significa che il profilo di "colletto bianco" di cui ha bisogno l'industria piacentina è diverso dal laureato e Piacenza dovrebbe interrogarsi anche sui propri sistemi formativi».
Il dato che forse più di tutti colpisce Fornari nel confronto fra passato e presente è in fondo un'attitudine mentale: «Quindici anni fa ci si poteva permettere di non fare scelte o di rinviarle, oggi è molto difficile perché è cambiato tutto, ma colpisce di Piacenza la scarsa internazionalizzazione, sia per presenza su mercati esteri sia per approvvigionamenti internazionali, colpisce che le imprese non vadano sui nuovi mercati e aumentino su quelli europei, maturi. La geografia delle esportazioni vede le imprese impegnate al 71 per cento in Europa e nel complesso per il 91 per cento su Paesi industrializzati, irrisoria la presenza sui mercati emergenti e questo è, a mio avviso, molto preoccupante. In quindici anni - conclude - l'industria locale non si è modificata nel profondo, ha cambiato pelle con nuovi manager e imprenditori, ha trovato un punto di forza nelll'orientamento all'innovazione di prodotto, ma poi mostra la fragilità commerciale che aveva in passato. Siamo bravi in fabbrica, ma quando usciamo siamo deboli, manca capacità di marketing e di forza commerciale».
Patrizia Soffientini, Libertà del 7 dicembre 2005
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