di Marco Bertoncini
Le cronache dalle province sono zeppe di servizi sull'approvazione dei bilanci comunali. E' un coro di proteste contro il Governo e di geremiadi perché "per non tagliare i servizi, dobbiamo aumentare le tasse". A dolersi sono sovente perfino amministratori di centrodestra, pur se con dichiarazioni più sfumate (il che conferma la totale mancanza di politica unitaria della Cdl sul territorio). Sarebbe ora che da parte della maggioranza si dicesse basta a questo stolido e immotivato ricatto. I motivi per ribellarsi all'andazzo corrente, al piagnisteo diffuso, ci sono, e molti. Se la spesa pubblica dev'essere ridotta, non è pensabile che la diminuzione riguardi solo gli organi centrali. Se si predica il federalismo, e quindi si vogliono assegnare compiti agli enti locali, non si può ritenere che questi ultimi costituiscano una variabile indipendente della spesa, una zona franca in cui le uscite siano consentite indiscriminatamente. Esistono vincoli europei, esistono soprattutto vincoli di corretta amministrazione, esiste un indebitamento storico che va ridimensionato.
C'è, inoltre, una visione che finalmente spunta nelle dichiarazioni e in qualche timido atto di Berlusconi, ma stenta ad affermarsi nei suoi alleati.
Si tratta dell'obiettivo di ridurre non solo la spesa, ma prima ancora l'apparato pubblico, la mano pubblica, l'intervento pubblico, per dare spazio all'individuo, alla sua responsabilità, al suo risparmio, al suo agire. Tale visione non può, all'evidenza, confinarsi nello Stato, ché anzi l'interventismo ultimamente si è alquanto esteso nelle Regioni, negli enti locali, e anche in altri organismi, dalle Camere di commercio ai Consorzi di bonifica, i cui costi subiamo pur non rendendoci conto dei (teorici) benefìci.
Del tutto da respingere è il ricatto fondato sui cosiddetti servizi sociali. Quando si ammanta una spesa di socialità, è sempre bene rammentare quel che scrisse la portabandiera del libertari, Ayn Rand: "Guadagni sociali, scopi sociali, obiettivi sociali sono diventati le banalità quotidiane del nostro linguaggio. La necessità di una giustificazione sociale per ogni attività e per ogni cosa esistente è adesso data per scontata. Non c'è proposta abbastanza oltraggiosa per la quale il suo autore non possa ottenere ascolto e approvazione rispettosi se dichiara che in qualche modo indefinito essa è per il bene comune".
Chi si duole per tagli alle entrate, lo fa per mantenere notti bianchi e stipendi fissi agli amministratori, consiglieri comunali in testa, consulenze più o meno amicali e mostre d'arte visitate dai parenti stretti del festeggiato. L'elenco degli sprechi, delle spese folli, delle elargizioni clientelari di Comuni e Province, per tacere delle Regioni, è lungo, come fra l'altro dimostrano, a iosa, le recenti riprese di Affittopoli. Quando un amministratore regionale piange perché non ci sarebbero soldi per la sanità, gli si chieda di tagliare - prima - i sussidi per i gruppi consiliari. Quando un sindaco grida perché la Finanziaria gli inibirebbe l'assistenza domiciliare, gli si chieda di smetterla - prima - con le "domeniche a piedi" e le "notti bianche". Al coro di prefiche che si battono il petto perché non ci sarebbero fondi per i vecchietti, si replichi che risparmino sulla politica estera, sulle manifestazioni pacifiste, sui pugili palestinesi ospitati (con famiglia) per essere mandati alle Olimpiadi a spese degli enti locali. Non cedere ai ricatti, avrebbe da essere la parola d'ordine di una Cdl affiatata. Anzi sbugiardarli. Questo, nonostante gli aiuti che ai ricattatori possono giungere dall'esterno, a partire da una Corte costituzionale impietosita perché le meschine Regioni non dovrebbero essere conculcate dallo Stato prevaricatore che vuol imporre ad esse un freno alle assunzioni (superflue).
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