Un «riscossa civica nel Paese» che parta dalle città chiamate al voto il 6-7 maggio, quelle «dove si fa una politica buona, aperta». Come Piacenza, «e io sono contento e veramente orgoglioso di poter votare qui per il mio partito e per il mio sindaco».
A Pierluigi Bersani capita spesso di toccare le corde giuste quando in pubblico parla ai suoi. E a giudicare dagli scroscianti applausi alla fine dell'intervento c'è riuscito anche ieri sera nella sala dei Teatini dove ha portato il suo sostegno alla lista del Pd e alla candidatura a sindaco di Paolo Dosi.
Il segretario nazionale del Partito democratico si è detto fiducioso di portare all'incasso nella sua città un'«ottima» performance elettorale. Per tre motivi. Il primo sono «i risultati» dell'amministrazione Reggi che parlano da soli, «Roberto è stato un grande sindaco, ormai è storia, la città è migliorata». Il secondo è la sua squadra, a partire dal candidato alla successione: «Abbiamo la possibilità che porti avanti il testimone e anche con l'innesto di forze giovani nuove». Il terzo motivo è insieme origine e derivazione dei primi due: «Tutte queste esperienze stanno dentro la cultura di governo locale del centrosinistra che, c'è poco da fare, è superiore a quella della destra e infinitamente superiore alle culture populiste perchè siamo, sì, affezionati al luogo, eccome, ma mai con una logica di chiusura, che si tratti di questioni culturali e di gestire fenomeni sociali complessi come l'immigrazione».
Un esplicito rimando alla Lega nord, all'«abbruttimento del localismo che chiude le porte quando le porte non ci sono più», a una classe dirigente che quando si trova a governare Comuni e Province può «al massimo fare appena appena l'ordinaria amministrazione».
Ma l'affondo diretto al Pdl era stato appena prima Reggi a portarlo invitando a confrontare i risultati delle sue giunte con quelli del centrodestra dal ‘98 al 2002 (sindaco Guidotti), quando «c'erano gia' tutti» quelli che adesso sono ancora candidati, «c'è chi ha fatto il vicesindaco» (Tommaso Foti, oggi capolista Pdl), «chi l'assessore» (Andrea Paparo, oggi aspirante sindaco, o Carlo Mazzoni, pure in lista), «chi è stato in consiglio per anni» come Marco Tassi: «Ebbene, sono stati fermi come i sassi, idem in Provincia dove siedono dal 2009».
E se Dosi ha messo l'enfasi sull'impegno di questi anni per il welfare, con «una qualità e quantità di servizi dalla quale assolutamente non dovremo arretrare», Bersani ha tornato sullo stesso terreno ascrivendo al centrosinistra «la grande nostra ispirazione al sociale». «Se non c'è un minimo di solidarietà non c'è crescita, e questo Paolo lo interpreterà benissimo, ha la chiave giusta per una città come Piacenza, superando anche qualche meccanismo individualista che a volte ci paralizza».
All'appuntamento con le amministrative il segretario ci è arrivato partendo da un'analisi del quadro attuale in Italia e in Europa. Bene il vento che arriva dalle presidenziali in Francia, di buon auspicio per quella «convergenza di tutti i progressisti e democratici anche moderati necessaria per contrastare una destra populista», anche in Italia. E se vincerà Hollande, sarà un bene pure per porre un freno alle posizioni rigoriste in economia della Germania che rischiano di «portarci al massacro». Dalla crisi non si esce senza la solidarietà europea, è il monito di Bersani. Nessun cedimento dal sostegno al governo Monti, perché eravamo «a un passo dal baratro». Senza però rinunciare ad alzare la voce quando è il caso, come è stato sull'articolo 18. Ora però, nonostante la recessione, ci sono due urgenze: «Far girare un po' di soldi per le imprese, sbloccare gli investimenti allentando i vincoli ai Comuni».
«C'è stanchezza, disamore, per la politica», non si nasconde Bersani, ma «i partiti non sono tutti uguali, noi una certificazione indipendente del bilancio è da quattro anni che ce la facciamo fare e una legge sulla trasparenza nei partiti è dall'inizio che la chiediamo, non ci sto a fare di tutto un mucchio». Una risposta all'antipolitica dei grillini in cui il leader democratico coglia i germi dello stesso populismo di marca leghista.
Gustavo Roccella LIBERTA' 25/04/2012
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