In quello che era stato presentato come il «giorno della verità» all'interno del Pdl, va in scena il durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.
Tra i due è rottura totale.
Il premier ha praticamente dato lo «sfratto» all'ex leader di An dallo scranno di presidente della Camera: «Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes» gli ha detto dal palco. «Sennò mi cacci?» è stata la replica di Fini, che a un certo punto si è addirittura alzato dalla prima fila per replicare al presidente del Consiglio.
È stato questo il momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, scoppiato dopo che il Cavaliere aveva deciso di replicare alle parole pronunciate dal numero uno di Montecitorio.
Un intervento, quello dell'ex leader di An, tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro «l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega al Nord».
Dopo la pausa e una serie di nuovi interventi (Letizia Moratti, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno tra gli altri) c'è stato il voto sul documento conclusivo: via libera a grande maggioranza, con 11 o 12 voti contrari (il numero esatto dei finiani non è chiaro) e un astenuto (Pisanu) su 172 aventi diritto.
Un testo che «approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine». Una presa di posizione netta a favore del premier, dunque: «Le correnti negano la natura stessa del Pdl - si legge ancora - ponendosi in contraddizione con la volontà degli elettori. Una leadership forte non significa rinunciare a un dibattito libero e democratico, previsto dallo Statuto».
Il giudizio nei confronti del presidente della Camera è duro: le polemiche di questi giorni, sostiene il documento, sono «paradossali» e «incomprensibili», soprattutto «dopo due anni di vittorie e di grandi risultati del governo».
E Fini? «Si apre una fase positiva e democratica per il partito» commenta. La presidenza della Camera? Non ho intenzione di lasciare».
Berlusconi la vede diversamente: «Avrei preferito che dicesse 'me ne vado' - commenta con i suoi. - Invece non ci pensa proprio: vuole restare e logorarmi. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare e ora, con il documento approvato dalla Direzione Nazionale, abbiamo lo strumento per sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni».
Una giornata in un certo senso storica, per il Pdl e la politica italiana.
La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl «non ci sono uomini liberi e servi» e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare «il professor Campi» e «il dottor Rossi» di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, «una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri», e ha chiesto di prendere le distanze da chi «vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto». Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che «il Pdl non è al traino della Lega»: «I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso».
Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una «riunione necessaria per fare chiarezza». E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sé «l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto». «Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere». «E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del Consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio».
Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl «davvero democratico». «Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse».
Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: «Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni». Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard.
Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: «È la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso». Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: «Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl», tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini.
Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale.
La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: «I tuoi rilievi - ha detto rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?». Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale. «Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito». Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo ironicamente: «Sennò mi cacci?». Insomma, un botta e risposta durissimo. L'impressione è che tra i due leader si sia consumato uno strappo personale - per di più di fronte alle telecamere - che sarà difficilmente sanabile.
22 aprile 2010
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