Solar city, così Piacenza si rigenera dall'interno.
In tempi di crisi vince il minimalismo. La prossimità, lo sguardo al quartiere. La sostenibilità.
Fare bene con poco, per esempio trasformare il Canale della Finarda in un viale con sistemi di fito-depurazione e percorsi pedonali, oppure ridisegnare le rotonde con piste ciclabili in sicurezza e magari rigenerare gli spazi dietro le chiese riesumando perduti oratori.
Cala una tessitura fine e non invasiva sulla città del ‘900, quella che ha più bisogno di essere risanata, con un sistema del verde come salvagente anti-inquinamento, un polo tecnologico diffuso che recuperi la tradizione artigianale, enogastronomica e agricola a filiera corta in spazi belli come quelli dell'ex consorzio agrario.
E dove il gioco è una faccenda diffusa ad ogni angolo, è di tutti, non si concentra solo in impianti sportivi e la mobilità abbandona l'auto e le segnaletiche verticali per diventare soprattutto pedonale e ciclabile.
Ecco la Solar city, la «città che vive», firmata da architetti piacentini under 40: Felicita Forte, Alessandra Bonomini, Filippo e Francesco Ravera, Stefano Serventi. E' andato a loro il primo premio di architettura "Ridisegnamo Piacenza: la città che vorrei" (con un assegno da 10mila euro) fortemente voluto da Ance, l'associazione costruttori di Confindustria, presentato ieri nei suoi risultati all'Urban Center insieme agli undici progetti che hanno concorso, non solo da Piacenza, ma pure da Napoli, Lecce, Alessandria e Milano.
La commissione giudicatrice del concorso ha scelto coraggiosamente non le grandi edificazioni, non la rivoluzione delle aree militari, ma piuttosto la possibilità di dare un volto aggiornato a Piacenza partendo da ciò che c'è, pianificando i miglioramenti con sobrietà, sul già costruito.
E val la pena di sottolineare che nella commissione era presente il promotore Paolo Garetti, caposezione Ance, Maurizio Croci (Confindustria), oltre a Renzo Marchesi (presidente sede piacentina del Politecnico, per la Camera di Commercio), la docente Sandra Bonfiglioli (facoltà di Architettura) e Benito Dodi, presidente Ordine degli Architetti.
Sono stati assegnati anche due premi speciali (2mila euro ciascuno). Uno è andato a tre architetti donna: Linda Gobbi e Lisa Ferrari di Piacenza e Marta Giberti di Monza che hanno immaginato percorsi tematici nella città storica per valorizzarne il patrimonio architettonico e culturale. A due giovani professionisti milanesi, Alessandro Frigerio e Francesca Guffanti Pesenti è toccato l'altro riconoscimento per aver studiato un sistema del verde capace di connettere la città al Po. I due milanesi hanno trovato bella la nostra città: «ma sottovalutata» e loro ne hanno percorse le nervature meno comode, argini, canali («che fatica esplorarli! »). Non assegnati invece i premi sulla cittadella dello sport e polo tecnologico, che secondo la giuria non sono stati svolti in modo approfondito. Le aree militari non sono tutto. Il concorso è un «dono di santa Lucia alla città» ha spiegato Garetti, perché lo spirito è anche quello di offrire stimoli e idee all'amministraziome impegnata nella redazione del piano strutturale comunale, non condizionate da moventi speculativi. «Le aree militari non sono la soluzione di tutto. Piacenza ha opportunità importanti da esplorare, zone ad alta densità abitativa degli Anni 50-60». Punti che vanno visti nell'insieme della tessitura urbana, come un corpo unico e che meritano una rinascita. Le undici idee portate dai giovani concorrenti hanno il pregio di essere «attuabili» per riconvertire aree di scarsa qualità. E la presenza a Piacenza del Politecnico è tanto più strategia in quest'opera. Garetti pensa ad una «Piacenza che piaccia ai piacentini» con un appropriato sistema del verde, un centro accessibile, una cittadella dello sport e un polo tecnologico. C'è tanta voglia di fare. Patrizia Soffientini LIBERTA' del 13/12/2009
I desideri: più infrastrutture e più bellezza La scelta di rivolgersi ai giovani trova ragion d'essere anche nelle parole di Sergio Giglio, presidente di Confindustria Piacenza: c'è volontà di avere uno sguardo sulla città senza preconcetti, senza rigide posizioni ideologiche e oltranziste. Una boccata d'aria nuova. Peraltro, i problemi non mancano là dove in provincia di Piacenza ci sono territori bloccati da dieci anni, lamenta l'imprenditore, che parla pure delle infrastrutture incomplete, come la tangenziale, dell'esigenza di "sgasare" Piacenza («A San Nicolò passano 45mila mezzi al giorno»), di avere una metro leggera, parcheggi. Piacenza deve decidere se essere città dormitorio nei confronti di Milano o di supportarne lo sviluppo. Vero è che i tempi sono grami, con il record negativo di 2milioni e 200mila ore di cassa integrazione ordinaria. «E le grandi decisioni vengono rimandate». Anche la logistica esige oggi una regolamentazione non rinviabile. In una parola: «Occorre far spazio alla città che vive». E un accenno all'attualità piacentina: bando ai titoli scandalistici sui giornali quando si parla di vero lavoro. Per il premio Ance è davvero il momento giusto - rincalza il vicesindaco Francesco Cacciatore - a fronte degli strumenti di pianificazione territoriale in via di definizione (Ptcp, Psc). La regola oggi è il «contenimento» dell'uso del suolo («nel 1977 il territorio urbanizzato era il 19 per cento, oggi è il 29»). Le aree non urbanizzate vanno salvate e il confine della tangenziale è un limite non valicabile. E' poi necessario ragionare «non per singoli pezzi» - si dice convinto Cacciatore - ma guardando al mosaico generale della città. Per il presidente della Fondazione, Giacomo Marazzi, Piacenza ha molto bisogno di idee, spinta mancata negli ultimi 30 anni. E le critiche non finiscono qui: «Si è perso un anno a discutere sul Bastione Borghetto per poi lasciarlo alle ortiche senza sapere che farne e nella nostra periferia si vedono cose fra le più brutte del nord Italia». Ben venga una progettazione intelligente. E sull'importanza di produrre progetti è più che d'accordo Benito Dodi, presidente dell'Ordine Architetti, così come sullo scommettere sui giovani: «Anche il privato, se vuole qualità, sceglie i concorsi». p. s.
«Da evitare l'eccessiva offerta di aree». Le previsioni di Palermo e Tamburini
Come fa una città a riprogettarsi se non ha soldi da investire? Se lo chiede Pier Carlo Palermo, preside della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, ospite della tavola rotonda all'Urban Center. Posto che non si può dilatare il deficit pubblico, né la fiscalità di scopo («altri Paesi però lo fanno»), posto che la politica dei grandi eventi ha fatto il suo tempo e Palermo è iper-critico sulle conseguenze milanesi dell'Expo 2015, insomma l'unica via per i Comuni è dismettere terreno. Ma per il docente non basta rimettere in moto l'edilizia, il «fallimento» di Santa Giulia a Milano ne è la prova, e non servono a molto neppure le archistar che ripetono se stesse. Allora? «Piedi per terra». A Piacenza meglio non immaginare di mettere un milione di metri quadrati di aree militari sul mercato: «Non è sostenibile». «La città selezioni pezzi pregiati e inneschi un processo virtuoso di sviluppo, trovando la misura giusta, con gradualità». Diversa ma ugualmente concreta la visione di Gualtiero Tamburini, presidente di Assoimmobiliare. Il Pil italiano è di mille e seicento miliardi, dei quali il 16 per cento dovuto all'edilizia immobiliare. Il settore è strategico, ma è anche vero che oggi si tende sempre più a recuperare, vedendo «la città come un'impresa che produce e vende se stessa». La ricetta di Tamburini prevede quattro passi: far progetti, avere una visione strategica delle priorità costruendo intorno il consenso, non sganciarsi mai da una analisi di redditività economica e in termini sociali e individuare responsabilità chiare: chi fa cosa. Un invito agli amministratori.
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