Dopo 35 anni Circoscrizioni addio.
Spazzate via da una legge (la 26 marzo 2010 n. 42), sospese talvolta in una sorta di "terra di nessuno" (solo potere consultivo).
Bersaglio di critiche disparate (doppioni del consiglio, eccesso di burocrazia, assenteismo) ma pur sempre luogo istituzionale di espressione dei cittadini, le quattro Circoscrizioni piacentine diffondono oggi il loro canto del cigno, con un condiviso mal di pancia: l'esser state poco nel cuore del Palazzo, non importa quale fosse il padrone di casa.
A Piacenza la Circoscrizione 1 (centro storico) e la 3 (viale Martiri) hanno già archiviato l'ultima seduta. La Circoscrizione 2 (via XXIV Maggio) e la 4 (via Rio Farnese) lo faranno oggi.
Marco Bertoncini (Sel), oltre che presidente della 4, è anche membro del Comitato nazionale circoscrizioni, che domani si riunirà a Roma, alla sede dell'Anci, «per costituire all'interno un Comitato per il decentramento». Servirà a indicare una strada alternativa delle Circoscrizioni? «Lo potrà fare - afferma Bertoncini - per quanti hanno in animo di agire a favore del decentramento. Alcune città hanno già optato per questa strada, Piacenza no. E questo malgrado in consiglio comunale avessi fatto votare un ordine del giorno a favore del decentramento».
Per l'ultima assemblea di Circoscrizione di oggi, alle 17, i responsabili hanno fatto un appello, affinchè gli abitanti del quartiere, i volontari, le associazioni fossero presenti all'addio. All'ordine del giorno il bilancio consuntivo. «Il rammarico per questo ultimo capolinea - riflette Bertoncini - c'è tutto, la mia è stata un'esperienza decennale. Sembra quasi che nessuno creda più nel valore e nell'importanza di stare in mezzo alla gente. A me non piace la politica mediatica, bisogna lavorare tra la gente. E' chiaro che questo è più oneroso ma alla fine rende».
Il rammarico per questo capitolo che si chiude arriva anche da Pierangelo Solenghi, Circoscrizione 2, che stasera discuterà il bilancio consuntivo, ultimo atto formale dopo 35 anni di militanza nel mondo delle Circoscrizioni (Solenghi, nell'ultimo mandato, compariva come Pd, «ma da due anni non ho rinnovato la tessere», ci tiene a precisare). «Mi sento legato emotivamente a questo momento, l'esperienza, di fondo, è stata positiva. Cosa osservo? E' calato lo spirito di coinvolgimento, e così pure c'è stata una scarsa attenzione della politica alle Circoscrizioni. Magari fisiologica, anche se in altre città così non è avvenuto».
Simona Segalini LIBERTA' 20/03/2012
LA STORIA Le circoscrizioni diventano realtà nel ‘77 in seguito alla legge dell'8 aprile ‘76 che riconosceva i comitati spontanei. Piacenza, allora governata dalla giunta Trabacchi, si buttò a capofitto in quella nascente esperienza di democrazia partecipativa. Inizialmente a Piacenza i quartieri furono 8; in seguito, nel 1985, con l'allora giunta Pareti, il numero fu dimezzato e i quartieri divennero 4 (questione molto dibattuta, a cui non mancò l'appello dello stesso sindaco Pareti, Psi: «Piacenza ha bisogno di 4 e non di 8 quartieri», poi votato da Pci, Psi, Pri; contrari Dc e Msi; astenuti Psdi, Pli). Ma prima di imboccare una strada tutta in salita - minata dai dubbi, partoriti da alcuni ambiti, sulla reale utilità di quegli organismi - prima che ci fossero da ripetere le elezioni dei presidenti di due quartieri nel 1985 (Levoni, Psdi, Sergio Peretti, Psi), prima ancora che fossero registrati ben 19 abbandoni di eletti (1989), i quartieri volarono alti sull'onda dell'entusiasmo dei fondatori. Tra questi ci fu Giovanni Ambroggi (Pci), nel ‘77 primo assessore al decentramento (giunta Trabacchi), che si rimboccò le maniche e con una snella squadra di collaboratori provò a dar vita ai quartieri. «Con l'avvocato Alfonso Foppiani, oggi scomparso, e con Floriana Josefo, allora impiegata del Comune, ci mettemmo al lavoro. Andammo anche a conoscere esperienze già avviate - racconta Ambroggi - come Bologna o Livorno. Fare o non fare i quartieri era discrezionale. Noi ci credemmo: la nostra intenzione era di istituzionalizzare i comitati spontanei, di conferire loro un peso istituzionale. Volevamo stabilizzare il diritto alla partecipazione dei cittadini, insieme all'altro slogan: il potere ai cittadini. Ricordo l'esperienza con soddisfazione, tanta». Fu l'entusiasmo per quell'impresa pionieristica a far superare il guado di problemi altrimenti insormontabili: «Creare i quartieri significava, tra l'altro, dare loro una sede, un minimo di attrezzature. Ricordo che, all'Infrangibile, lo spogliato a servizio di un campetto di gioco divenne sede di quartiere. Al quartiere 2000 fu un garage a diventare cuore del neonato organismo. Ai presidenti di quartiere destinammo scranni di un certo pregio scartati dal consiglio comunale. Nel disegnare la mappa dei quartieri non tenemmo in alcun conto criteri politici ma demografici. Fu una stagione importante, nel ‘77 era partita la revisione del Prg, ricordo accesissime riunioni nei quartieri. E oggi, mi chiedo: quali canali sostituiranno i quartieri? ». sim. seg. 20/03/2012
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