Negato l'ok per vizi formali
A chiamarla moschea storcono il naso.
Sarà, sì, anche luogo di preghiera, ma principalmente avrà altre funzioni: la diffusione della cultura islamica; la salvaguardia delle radici identitarie specie per le giovani generazioni che, cresciute lontano dai paesi d'origine rischiano di perderle; la promozione dell'integrazione sia tra le varie etnie di religione islamica sia con la realtà locale dell'Italia ospitante, e piacentina nella fattispecie.
Questo, almeno, nelle intenzioni dei proponenti, ossia la da poco costituita (a inizio 2008) "Associazione culturale islamica di Piacenza" che nelle scorse settimane ha rivolto al Comune una specifica istanza per ottenere il via libera all'apertura di un centro dove svolgere le suddette attività.
Manca però ancora l'indicazione del luogo: è vero che qualche esplorazione per arrivare - tramite affitto o acquisizione (non viene richiesto il contributo economico del Comune) - a uno spazio di almeno 300 metri quadrati è stata avviata (tra gli altri un capannone alla Veggioletta e una palestra nella zona di via Manfredi), e tuttavia prima di impegnarsi nell'investimento quelli dell'associazione volevano accertarsi di non fare un buco nell'acqua, di essere cioè con le carte tutte in regola per raggiungere lo scopo. Il problema è essenzialmente uno: avere i requisiti per poter domandare il cambio di destinazione d'uso necessario a riconvertire i locali da acquisire all'utilizzo richiesto.
Per questo motivo l'associazione ha voluto effettuare una preventiva verifica con il Comune. E l'esito è stato negativo. Dopo una spola tra l'edilizia e l'avvocatura legale, gli uffici di palazzo Mercanti hanno concluso che allo stato non è possibile accogliere l'istanza del centro islamico. Ragioni di natura amministrativa: intanto tra i proponenti, ossia il direttivo dell'associazione che è composto da cittadini soprattutto albanesi e nordafricani, ne risultano alcuni con il permesso di soggiorno scaduto, seppur da poco tempo; inoltre la mancanza dei requisiti che, a norma di legge (regionale) occorrono all'associazione - l'iscrizione in un apposito registro - per poter godere del beneficio edilizio del cambio di destinazione d'uso dei locali.
Sulla "moschea" pollice verso, dunque, almeno per ora.
C'è da scommettere che non la prenderanno bene all'associazione dove l'esigenza di un luogo così è giudicata un'urgenza: «Manca a Piacenza un'associazione che apra al dialogo con la comunità locale», dice il presidente. È albanese, si chiama Arian Kajashi, tutti però lo conoscono come Mohamed: «Qui ci vivono 6-7mila musulmani, ma di loro si parla solo per quei pochi che commettono crimini, dei tanti che lavorano non si sente mai la voce». E quando desiderano riunirsi per pregare non sanno dove andare. C'è Torrione Fodesta, in viale Sant'Amborgio, però del tutto inadatto: «Per la preghiera del venerdì ci vanno 250 persone, con uno spazio stretto e senza servizi igienici adeguati, e di sera ci sono i topi», descrive la situazione Mohamed Hanich, tunisini, vicepresidente dell'associazione. Si tratta allora di trovare un posto che, in modo più accogliente, possa ospitare tra le 200 e le 250 persone. «Abbiamo visto delle proposte, ma non c'è niente di deciso», continua il presidente Kajashi a cui soprattutto preme sottolineare che «non sarà solo un luogo per la preghiera, sarà culturale, un vero centro islamico, per aiutare l'integrazione dei musulmani a Piacenza, tra di loro (siamo multietnici, abbiamo albanesi, bosniaci, macedoni, nordafricani, senegalesi) ma anche per aprire il dialogo con le altre religioni».
E poi per «educare i nostri figli, per insegnargli le culture e le lingue di origine visto che a scuola imparano solo l'italiano e quando tornano nei loro Paesi si sentono degli stranieri». Ma un altro effetto positivo avrebbe un posto di aggregazione che funzioni, sottolinea Kamaoui Redoune, marocchino dalla barba lunga e folta: «Riusciremmo ad attirare molti che magari adesso vanno al bar a ubriacarsi». Gustavo Roccella gustavo.roccella@liberta.it
LIBERTA' 29/07/2008
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