Studio choc dell'Unione europea: gli impianti riconvertiti inquinano di più. Piacenza alto rischio.
La riconversione ambientale delle centrali elettriche (a ciclo combinato con alimentazione a metano) produrebbe un devastante “effetto beffa” facendo degli impianti le maggiori cause della diffusione delle polveri finissime, le cugine killer delle Pm10.
Ad affermarlo sono gli esperti di 19 nazioni europee autori del secondo documento della Commissione europea sul problema delle polveri. E tra le regioni a più alto rischio ci sarebbe proprio la valle del Po, dove oltretutto le condizioni climatiche e lo scarso ricambio d'aria faciliterebbero la permanenza in aria dei precursori e l'accumulo delle polveri fini stesse. Se la tesi dovesse essere confermata, Piacenza, con le sue conversioni in atto (si veda quella della centrale “Levante” programmata nel 2004, a partire da aprile, ma un processo analogo riguarda “La Casella” di Sarmato) e con una turbogas di nuova realizzazione ipotizzata nella pianificazione regionale, sarebbe vittima di un beffardo effetto boomerang: proprio l'operazione di riconversione giudicata sin qui come la soluzione ottimale per bonificare le emissioni delle centrali, finirebbe per aggravare la potenza inquinante delle stesse.
La minaccia porta il nome di Pm2,5 e Pm0,1, le polveri sottilissime e ultrasottili che, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, e a differenza delle più grandi Pm10, riescono a entrare direttamente nel sangue, perchè capaci di eludere le barriere difensive dei polmoni.
Una situazione che in futuro potrebbe peggiorare, se venissero realizzati gli impianti a ciclo combinato alimentati a metano previsti dal piano energetico della Regione per colmare il deficit dell'Emilia Romagna, che oggi produce in loco soltanto il 50% dell'energia che consuma.
Il primo a lanciare l'allarme era stato un ricercatore del Cnr di Bologna, Nicola Armaroli, che già nel maggio scorso, dalle pagine de La Chimica e l'Industria e insieme a Claudio Po, aveva denunciato il pericolo legato alle emissioni di particolato fine da parte di questi impianti. Armaroli e Po, per primi, affermavano che centrali turbogas delle dimensioni di 800 megawatt, come quelle già autorizzate a Ferrara e Ravenna, e le tre che erano state ipotizzate in altre provincie, tra cui Bologna (Bentivoglio e Minerbio), Forlì, Piacenza o Parma, produrebbero quantità di polveri sottili non trascurabili, come si riteneva, ma nella misura di centinaia di tonnellate. I ricercatori, contestati da chi sostiene che i turbogas rappresentino la miglior soluzione anche in termini di impatto ambientale, trovano ora in questo documento della Commisisone europea nuove autorevoli conferme.
Lo studio infatti rafforza le tesi presentate da Armaroli e Po. Alle quali era stato contestato, sulla base di misurazioni effettuate ai camini, che i turbogas producono minori quantità di Pm10 rispetto agli impianti a olio combustibile o carbone.
Ma, ribadisce lo studio, le pericolose Pm2,5 si formano per la maggior parte in un secondo momento e non si possono rilevare ai camini: tra i loro principali precursori, gli ossidi di azoto, prodotti in grandi quantità da queste centrali. I turbogas poi bruciano metano: che tra i combustibili è quello che produce la maggior quantità di polveri fini e ultrafini.
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