L'opinione del sociologo Domenico De Masi
Il servizio militare, non c' è più. Il posto fisso, rarissimo. La laurea, può essere anche breve. La pensione, chissà quando e chissà come. Così, in quattro mosse, che hanno preso corpo per esigenze diverse, cambia la prospettiva per un giovane alla fine dell' adolescenza. Una vita con meno sicurezze, una situazione che richiede interventi, per evitare un Paese «diviso in un gruppo di privilegiati e una massa sempre meno privilegiata». L' espressione è di Domenico De Masi, sociologo del lavoro e preside della facoltà di Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, un laboratorio da 15.000 studenti e 203 professori. Dice De Masi che molti giovani gli appaiono in crisi profonda e chi si sente in crisi non ha voglia di produrre, né di consumare, né insomma di progettare il futuro. Dice, ancora, che ci vorrebbe un cambiamento «altrettanto possente» di quello avvenuto ai tempi della rivoluzione industriale. Stavolta, per approdare alla «società post industriale». Cominciamo dalla fine delle scuole superiori. A differenza delle ultime generazioni, ora i giovani non dovranno più spendere un anno per «partire militare». Un grande parcheggio chiude. E la ricerca del lavoro si avvia un anno prima. In Italia su cento giovani il 70 per cento non va all' università (negli Usa è il contrario). Cosa troveranno sul mercato? Sostanzialmente, dice De Masi, occupazioni precarie, nei call center, da camerieri, da pulitori. «Lavori che possono avere orari terribili, possono essere noiosi o pericolosi, possono essere pagati in ritardo, o non pagati». Secondo gradino, l' università. Sono arrivate le lauree brevi. Secondo De Masi, queste servono soprattutto a eliminare i "fuori corso", a dare loro un titolo. Ma non a creare posti di lavoro. Chi le prende, facilmente finisce sullo stesso mercato di cui abbiamo parlato prima. Il 70 per cento dei «laureati brevi» prosegue, verso la specializzazione. «Ma anche alla fine di questo percorso - sostiene De Masi - troveranno un' occupazione soddisfacente soltanto i giovani con elementi di genio, preparati». In Italia il lavoro materiale è sempre di meno «perché da noi un' ora di lavoro costa 24 dollari e in Cina un dollaro. Qui non si costruiscono Fiat, si inventano nuovi modelli Fiat. Le aziende investono in computer, non in braccia. I datori di lavoro vogliono fare contratti fissi soltanto a coloro di cui non si può fare a meno, anche un cuoco per esempio». Avviene perciò che la maggior parte dei giovani dilata la permanenza presso i genitori e che si sposta in là la creazione di nuove famiglie. Spesso ci si sposa fra due lavoratori precari e si può andare avanti - se si è laureati - per decenni fra collaborazioni Rai, ricerche al Censis e così via. Pian piano, si arriva ai bordi dell' età della pensione. «E' diventata un miraggio per chi ha un posto fisso, figuriamoci per i precari. Quando si rendono conto che la pensione non ci sarà, è un colpo. Ma il problema non è questo». E allora? «C' è bisogno di una rivoluzione organizzativa. Allungare la vita lavorativa, ridurre l' orario: il tempo libero fa crescere l' economia, chi non lavora, consuma. Poi, formazione permanente. Sviluppare i lavori creativi. Promuovere l' industria del tempo libero: l' organizzazione di grandi eventi culturali è la fabbrica di oggi. Un festival estivo può impegnare duecento cervelli». Ecco disegnato il mondo post industriale, un mondo in cui occorre sempre più il "sapere" per salvarsi. «Ma noi - conclude De Masi - abbiamo scuole e università ridotte malissimo. E non è una questione di destra o sinistra...».
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