di Francesco Bergonzi
Piacenza è una città, fortunatamente, particolare per le sue qualità legate a storia, cultura, arte, cibo, imprenditoria e qualità della vita oltre ad un posizionamento geografico che potremmo definire altamente strategico se la consideriamo come un passaggio obbligato tra nord e centro/sud Italia, per non allargare il discorso al panorama europeo. Qualità, in qualche caso certificate, che è ancor più semplice percepire ritornando da un viaggio di lavoro o da una vacanza dopo i quali ci concediamo la possibilità di vivere Piacenza in modo meno scontato e abitudinario, assaporando il meglio che ci può offrire in modo più completo e gustoso. Se i nostri viaggi sono in numero maggiore di uno allora potremo osservare anche un fenomeno curioso che normalmente può sfuggirci: Piacenza emette segnali di vita veramente deboli. Sembra che la amiamo così tanto da volerla condividere solo con pochissimi, che la vogliamo in qualche modo occultare per far si che nessuno venga a sapere delle sue ricchezze e dei suoi valori, che ci disturbi in modo insostenibile l'attenzione e gli interessi che potrebbero provenire dall'esterno, ad esclusione degli esterni che ci coltiviamo in modo personale o in forma di piccoli clan.
Sarà amore o una più probabile forma patologica di discrezione, un sentimento vagamente morboso che ora rischia di danneggiarci in modo realmente grave? Nonostante questo atteggiamento da "chiostro di clausura" abbia avuto storicamente una funzione di protezione e filtro rispetto a perturbazioni esterne io propendo con decisione per la seconda ipotesi e osservo che il fenomeno non segue solamente un percorso Piacenza-Esterno, ma anche uno Piacenza-Piacenza che, sinceramente, è ancora meno tollerabile perché riduce la circolazione di informazioni a settori socio-culturali specifici, impedendo la trasversalità su alcuni temi chiave.
Volenti o nolenti, nebbia o non nebbia, coppa o non coppa, il tema della comunicazione, dell'identità urbana, della capacità di far emergere le proprie qualità nello scenario della competizione tra città che si svolge in ambito nazionale, europeo e mondiale è diventata una sfida a cui non possiamo più sottrarci se non accettando di rimanere ai margini di un'evoluzione che sta toccando anche centri con una dote, attuale e potenziale, molto meno prestigiosa.
Se non ci credete potete fare un esperimento piuttosto semplice: provate a entrare verso Piacenza da qualunque accesso disponibile e intendo autostrade, stazione ferroviaria, tangenziali e statali. Avete notato qualcosa? Penso di no. Non l'avete notata perché non esiste, non esiste una comunicazione dedicata che sia stata pensata, realizzata e installata in quelli che tecnicamente si definiscono "gate" della città e che riesca a comunicare le eccellenze permanenti e quelle temporanee come mostre o eventi. Se per caso avete, fortunatamente, scorto qualcosa si tratta di semplici cartelli stradali di carattere anonimo e standardizzato che nulla "raccontano" di una identità specifica e per dimostrarlo vi allego un'immagine di ciò che si può vedere entrando dall'autostrada A1 a Piacenza nord. Vi sentite rappresentati da quel triste e casuale ammasso di lamiera verniciata? Spero di no. Se poi entrate in città la situazione migliora di poco e non vi è traccia di quelli che altrove si chiamano "percorsi" pedonali o ciclistici, cioè possibili "itinerari suggeriti" all'interno della città che permettano di apprezzarne sinteticamente arte, architettura, cultura, cibo e ospitalità tramite segnaletica e altri supporti informativi. Persino transitando di fronte ad alcuni nostri gioielli potrebbe capitare di non notarli semplicemente perché nulla "parla" di quello che vi è contenuto. E non capiterà, recandovi in musei (se li avete trovati), gallerie, negozi, ristoranti, supermercati o centri commerciali di trovare mappe tematiche, cartoline della città e altri materiali legati ai servizi che sono semplici da progettare e realizzare, oltre ad essere essenziali per rendere "esperibile" Piacenza ai piacentini stessi e ai turisti. Non andate in Internet perché anche in quella sede digitale, assolutamente decisiva per l'esportazione dei valori locali, non vi è nulla più che informazioni di base poco utili, scarsamente coinvolgenti e difficilmente veicolabili. E quando, dopo aver soggiornato nella nostra amata Piacenza, verrà il tempo di partire vi accorgerete che, oltre a ottime derrate alimentari destinate ad essere digerite, non potrete portarvi via quasi nulla che renda "memorabile" la vostra visita. Intendo parlare di quelle cose che si chiamavano "souvenir" e che ora meritano il nome più articolato di "merchandising", patrimonio anche colto di musei, teatri, gallerie, grandi eventi, locali e intere città che permettono di ricordare e diffondere il senso di un luogo, oltre a generare un ottimo profitto economico. Il settore non è più fermo alle "palle nevose", ai portachiavi e alle riproduzioni di famosi monumenti che cambiano colore in base all'umidità, ma si è evoluto diventando un vero e proprio progetto di design editoriale attraverso il quale è possibile esprimere prodotti sofisticati, divertenti e condivisibili. In questo ambito il voto non è zero, ma qualcosa in meno. Non abbiamo neanche le riproduzioni del "fegato etrusco", tormentone piacentino, a dispetto di un suo intrinseco valore archeologico e antropologico, che conosciamo alle scuole elementari e poi ci affrettiamo a dimenticare e a rendere sconosciuto oltre i confini della città.
Questa scarsissima vocazione al design della comunicazione verso l'interno e verso l'esterno ritengo che non sia più accettabile per almeno 4 motivi: 1. - i piacentini hanno ancora molto da scoprire della loro città 2.- Piacenza e la sua provincia possiedono un patrimonio "vendibile" in termini turistici che attualmente rimane umiliato, nonostante il suo grande valore 3.- La città sta vivendo un momento trasformativo di grande potenzialità e confinarlo nelle stanze della politica o dei "saperi specifici" ne riduce drasticamente il potenziale evolutivo e il coinvolgimento costruttivo della cittadinanza 4.- Esistono competenze e media locali che aspettano di essere attivati in modo concreto e di attivarne altri all'esterno.
Oltre ai classici "di pregio", infatti, non mancano i temi interni ad alto tasso dialettico e tra questi cito l'arrivo del Politecnico di Milano con una possibile crescita universitaria, la destinazione dell'ex-Macello, il futuro delle aree dismesse in generale, il mega-intervento nell'area ex-Unicem, la trasformazione dell'Ente Fieristico, la nuova stagione del Teatro Municipale, l'Agenzia per il Turismo, ecc.
Sembra facile prevedere che la città, in alcuni suoi punti nodali diventerà, un cantiere e sarebbe entusiasmante immaginarla come un cantiere-evento capace di "parlare", coinvolgere, ascoltare e crescere invece che limitarsi ad erigere ponteggi e cancelli ad accesso vietato. Il cantiere-evento urbano è un tema ricco di esempi, praticato da molte città, anche italiane, su cui tornerò in queste pagine se Libertà mi darà spazio, come ha già fatto con un atteggiamento aperto e disponibile (potrebbe forse essere un tema stimolante per il prossimo festival Piacenza-Location?). Il nodo della Comunicazione Strategica di Piacenza è ovviamente materia dell'Amministrazione che deve sentirla come un'esigenza, come un tema da affrontare, da organizzare e da concretizzare in un'operazione che parta anche da elementi minimi, quelli di base che sono ora quasi assenti. La questione non si risolve delegando ai media locali, Libertà in testa, a cui va tributato un plauso per la tenacia, la professionalità e la voglia costante di crescere, perché si rischia di incidere solo la superficie del problema, in assenza di un impulso politico-istituzionale che si assuma il ruolo di "propulsore" e guida.
È giusto ammettere che alcuni segnali di cambiamento sono stati lanciati e realizzati con una dose di entusiasmo e promesse che lasciano ben sperare, ma il pericolo è che si svolgano in modo frammentato senza una "regia" che potrebbe determinare un salto di qualità decisivo. Segnaletica, percorsi, cartoline, merchandising, brochure, videoclip e altri strumenti pensati, progettati e realizzati coinvolgendo menti e capitali piacentini per i piacentini stessi e per quel resto del mondo che si ritiene corretto sensibilizzare. Qualcuno se ne sta occupando? Qualcuno se ne occuperà?
Ricordiamoci che i vantaggi di comunicare efficacemente una città ricadono non solo sull'Amministrazione, ma anche sulle strutture ricettive, sui trasporti, sulle istituzioni culturali, sul complesso dell'offerta commerciale, sulle scuole e, non ultimi, sui cittadini più consapevoli e orgogliosi di essere parte attiva di una realtà in crescita.
Francesco Bergonzi, Architetto, docente Design e Comunicazione Politecnico di Milano
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